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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Ogni maledetta domenica, diario semiserio di un podista e dei suoi allenamenti

E' un copione che si ripete ogni domenica, scandito da rituali e gesti sempre uguali. Per ogni podista che si rispetti l'allenamento domenicale è un appuntamento irrinunciabile, tra il serio e il faceto

LECCE – La sveglia suona – come al solito – troppo presto. Le luci azzurrognole del display a illuminare il buio della stanza da letto. Pochi secondi per riprendersi dallo “shock” e dare inizio a un rituale che si ripete, puntuale e cadenzato, ogni domenica mattina. Già, perché ogni podista che si rispetti ha un copione da ripetere prima di iniziare l’allenamento domenicale. Innanzitutto la colazione (caffè o tè con qualche fetta biscottata, a seconda dei gusti), la scelta dell’abbigliamento adatto, magari dopo aver dato una sbirciata alle condizioni climatiche (il vero runner, però, studia il meteo da giorni con più attenzione di un aviatore) e delle scarpe. Anche la vestizione è un rituale ben preciso: c’è chi inizia dalle calze, chi dalla maglia tecnica e così via. Il risultato è spesso un insieme di colori visibili anche da una sonda spaziale, con la differenza che c’è chi corre in canotta a zero gradi e chi (spesso i principianti) indossa il kway anche d’estate con trenta gradi.

Preparata con cura maniacale la borsa (asciugamani, ricambi, cellulare, barrette, soldi, gel, pomate, unguenti et cetera) come un marines in missione, il podista (il termine indica sia donne che uomini) si avvia verso la sua destinazione. Qui inizia la prima vera distinzione: c’è il solitario, quello che macina chilometri come fosse l’ultimo sopravissuto sulla terra; quello da sindrome dell’abbandono, che si muove solo in gruppo; il compagnone, per cui ogni allenamento è una festa da condividere con gli amici; il fanatico, che affronta ogni corsa come la finale delle olimpiadi; il tapascione, che percorre meno chilometri più lentamente e alla fine si mangia una bel cornetto crema e nutella; il veterano, quello che ha percorso più chilometri di un bus di linea; il professionista, che sceglie percorsi meno battuti per evitare confusione e disturbi vari; il maestro, sempre pronto a dispensare consigli e a raccontare aneddoti e storie di vita vissuta; il filosofo, quello che ha letto Murakami, i libri sulla corsa e le discipline orientali. Tutti uniti da un’unica grande passione: la corsa. Una passione fatta di sacrifici, rinunce, fatica, sudore ma anche benessere, divertimento, scherzi, battute, soddisfazioni e il calore dell’amicizia.

Visti dal di fuori i podisti sembrano una setta: facce scheletriche, visi smunti, abbronzatura perenne, scarpe colorate e tute. Parlano di tempi, chilometri al minuto, ripetute, fartlek (non è un mobile dell’Ikea), lunghi, medi, allunghi, pendenze e distanze. Hanno orologi che farebbero invidia alla Nasa, studiano prestazioni e allenamenti come un’equipe scientifica, eppure la maggior parte di loro sa benissimo che non vincerà mai una gara. Eppure ci mettono il cuore, sanno (come un pugile che sfida la proprio ombra) che il loro più grande avversario è se stessi. E poi vuoi mettere la soddisfazione di arrivare prima degli amici e prenderli in giro. La loro bibbia sono le tabelle, ce ne sono per tutti i gusti, da quelle trovate in rete (magari utilizzate da un keniano primatista del mondo), a quelle personalizzate. In ogni gruppo c’è un allenatore (vero o presunto), o magari un amico di un amico capace di stilare un allenamento da seguire per centrare il proprio obiettivo, la gara della vita. Sono la loro bibbia, da seguire pedissequamente. Ovvio che la domenica, giorno in cui tradizionalmente si ha più tempo, è la giornata dedicata agli allenamenti più intensi, quelli che poi ti portano ad affrontare il pranzo come un naufrago a digiuno da giorni. Poi il giorno dopo, presi dai rimorsi, iniziano una dieta che neanche un professionista prenderebbe in considerazione, misurando calorie, carboidrati, proteine e grassi come un alchimista.

Fondamentale, anche in relazione al “lavoro” (sì, questa è la definizione) da affrontare, è la scelta del percorso, che varia anche a secondo del tipo di podista. C’è il Coni, punto di ritrovo per poi affrontare la lunga lingua d’asfalto di via Vecchia Frigole; le Cesine, per gli amanti della natura, della tranquillità e dei grandi spazi; la città, per quelli che non amano allontanarsi troppo da casa; lo stadio, per poi magari raggiungere San Cataldo. Poi ci sono i percorsi più “esotici”: tipo Porto Selvaggio, la pineta degli Alimini, la spiaggia delle Cesine e di Torre dell’Orso, le salite di Galugnano e del Ciolo. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e per ogni podista.

La corsa, in fondo, non è soltanto uno sport e una passione, è uno stile di vita, un insieme di emozioni difficile da raccontare, che ti fa sentire parte di un mondo fantastico, dove sai che non ti sentirai mai solo, che potrai arrivare ultimo ma sarai comunque un campione, che troverai sempre qualcuno pronto a incoraggiarti, a tenderti la mano e regalarti un sorriso. Un sogno da cullare e inseguire che, proprio come la strada, non finisce mai. Provare per credere. 

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