Quando l'incontro diventa scontro
Avremmo desiderato aprire questo spazio con qualche argomento più leggero. Il nome stesso della rubrica è leggero. "Passaggi di Prima". Un richiamo forte e chiaro ad una tipica azione degli sport di gruppo. Ed un rimando, scontato, al nostro stesso logo.
Avremmo potuto iniziare i giochi con una riflessione sulla campagna acquisti del Lecce. Con un tuffo dritto, dritto nel cuore del sogno che sta vivendo Gallipoli. Con un'inchiesta sullo sport amatoriale, situazione underground (sotterranea, per chi non ama gli inglesismi, sotterranea, ma viva e pulsante) che raggruppa mille e più anime. Perché mille e più sono le luci dei riflettori che ruotano attorno al grande movimento di sportivi salentini. Lo sport è dinamismo. Ed il dinamismo è un concetto che rimanda in modo immediato alla vita. Un inno alla vita stessa, dunque.
Ma la cronaca amara di questi giorni ci costringe ad una riflessione importante. Una riflessione su ciò che dovrebbe essere lo sport. Passione, disciplina, sudore. Tattica, tenacia e anche lotta. Con se stessi, i propri limiti da superare. E con l'avversario, la sua strategia, il suo metodo, la sua tecnica. Lotta, dunque. Ma intesa in senso leale. Lotta, ma vissuta come confronto. Non come scontro.
Il calcio, in particolare, si sa, si è capito, si è detto e stradetto fino alla nausea, fino alla nausea, fino alla nausea, è uno dei motori trainanti dell'economia di questa nazione allo sbando, di un popolo che, ogni santa mattina, si sveglia e allo specchio spesso non riesce più a ritrovare lo straccio di un sorriso. L'antidepressivo ha preso il posto del caffè.
In mezzo a questo delirio, il calcio (pre e post "moggiopoli") ha scosso e continua a scuotere i campanili mezzi decrepiti dell'"Italia che va", anche se non sa più dove. E, un qualsiasi dannato derby (è successo a Catania, questa volta. Poteva succedere ovunque. E infatti la storia ci insegna che è già successo, altrove, al Nord, al Centro ed e Sud) si trasforma in una battaglia medievale. Mancano le armature, le picche e le alabarde. Ma, niente paura: ci sono i massi, le mazze e le bombe carta.
Filippo Raciti è un ispettore di polizia caduto sul campo. Sul campo di calcio. Ed è questo che fa paura. Non durante una retata mafiosa. Non nel corso di una rapina. Ma intorno ad uno stadio. Filippo Raciti è, anzi, era, purtroppo, un uomo, prima ancora che un ispettore di polizia. Un uomo comune come tanti, con una famiglia o senza, che fanno altri mestieri o che di mestieri non ne fanno perché disoccupati, morto in circostanze assurde insieme a tutti i suoi sogni. La sacralità della vita sacrificata di fronte all'effimera rincorsa di un pallone. L'agonismo che va in agonia.
Davanti a tutto questo, le domande: l'inasprimento del Daspo (Divieto di accedere a manifestazioni sportive), porterà veramente ad una nuova dimensione? Gli stadi a norma (blindati, dunque), il divieto dei viaggi di gruppo delle tifoserie, il rafforzamento dell'obbligo di firma, eccetera, eccetera, eccetera, sono misure in grado di portare a cambiamenti radicali?
Il modello inglese è citato come esempio massimo. Il fenomeno hooligan? Debellato. Innanzitutto, questo è vero solo in parte. Gli stadi inglesi sono oggi lo specchio della legalità, luoghi per famiglie. Ma, gli hooligan continuano a fare gli hooligan. Credeteci sulla parola. O non vi avrebbero girato su un film di successo. E di recente. Semplicemente, fanno gli hooligan lontano dalle zone dove si calca un campo verde.
E poi, c'è un fatto. Un altro fatto: violenza e rabbia sono frutto dell'emarginazione sociale, dell'assenza di lavoro e di prospettive. In una società evoluta, in cui un uomo può vivere serenamente, in cui ciò che sembra un sogno impossibile (la giusta remunerazione lavorativa, la possibilità di acquistare una casa e di mantenere una famiglia) è realtà quotidiana, la violenza diviene elemento più sporadico, legato magari più alla personalità individuale che al contesto sociale, e quindi maggiormente controllabile.
L'Inghilterra continua ad avere milioni di difetti e a navigare nelle contraddizioni. Come tutti i Paesi europei. Come tutti i luoghi del mondo. Ma le opportunità non mancano. Sembra, infatti, che da quelle parti, chi lavora seriamente, guadagna seriamente. Non un pugno di briciole. O di promesse. Che sia più tutelato. Ed in un contesto più sereno, si vive meglio qualsiasi situazione. A partire dalla sconfitta sportiva.
Avremmo potuto iniziare i giochi con una riflessione sulla campagna acquisti del Lecce. Con un tuffo dritto, dritto nel cuore del sogno che sta vivendo Gallipoli. Con un'inchiesta sullo sport amatoriale, situazione underground (sotterranea, per chi non ama gli inglesismi, sotterranea, ma viva e pulsante) che raggruppa mille e più anime. Perché mille e più sono le luci dei riflettori che ruotano attorno al grande movimento di sportivi salentini. Lo sport è dinamismo. Ed il dinamismo è un concetto che rimanda in modo immediato alla vita. Un inno alla vita stessa, dunque.
Ma la cronaca amara di questi giorni ci costringe ad una riflessione importante. Una riflessione su ciò che dovrebbe essere lo sport. Passione, disciplina, sudore. Tattica, tenacia e anche lotta. Con se stessi, i propri limiti da superare. E con l'avversario, la sua strategia, il suo metodo, la sua tecnica. Lotta, dunque. Ma intesa in senso leale. Lotta, ma vissuta come confronto. Non come scontro.
Il calcio, in particolare, si sa, si è capito, si è detto e stradetto fino alla nausea, fino alla nausea, fino alla nausea, è uno dei motori trainanti dell'economia di questa nazione allo sbando, di un popolo che, ogni santa mattina, si sveglia e allo specchio spesso non riesce più a ritrovare lo straccio di un sorriso. L'antidepressivo ha preso il posto del caffè.
In mezzo a questo delirio, il calcio (pre e post "moggiopoli") ha scosso e continua a scuotere i campanili mezzi decrepiti dell'"Italia che va", anche se non sa più dove. E, un qualsiasi dannato derby (è successo a Catania, questa volta. Poteva succedere ovunque. E infatti la storia ci insegna che è già successo, altrove, al Nord, al Centro ed e Sud) si trasforma in una battaglia medievale. Mancano le armature, le picche e le alabarde. Ma, niente paura: ci sono i massi, le mazze e le bombe carta.
Filippo Raciti è un ispettore di polizia caduto sul campo. Sul campo di calcio. Ed è questo che fa paura. Non durante una retata mafiosa. Non nel corso di una rapina. Ma intorno ad uno stadio. Filippo Raciti è, anzi, era, purtroppo, un uomo, prima ancora che un ispettore di polizia. Un uomo comune come tanti, con una famiglia o senza, che fanno altri mestieri o che di mestieri non ne fanno perché disoccupati, morto in circostanze assurde insieme a tutti i suoi sogni. La sacralità della vita sacrificata di fronte all'effimera rincorsa di un pallone. L'agonismo che va in agonia.
Davanti a tutto questo, le domande: l'inasprimento del Daspo (Divieto di accedere a manifestazioni sportive), porterà veramente ad una nuova dimensione? Gli stadi a norma (blindati, dunque), il divieto dei viaggi di gruppo delle tifoserie, il rafforzamento dell'obbligo di firma, eccetera, eccetera, eccetera, sono misure in grado di portare a cambiamenti radicali?
Il modello inglese è citato come esempio massimo. Il fenomeno hooligan? Debellato. Innanzitutto, questo è vero solo in parte. Gli stadi inglesi sono oggi lo specchio della legalità, luoghi per famiglie. Ma, gli hooligan continuano a fare gli hooligan. Credeteci sulla parola. O non vi avrebbero girato su un film di successo. E di recente. Semplicemente, fanno gli hooligan lontano dalle zone dove si calca un campo verde.
E poi, c'è un fatto. Un altro fatto: violenza e rabbia sono frutto dell'emarginazione sociale, dell'assenza di lavoro e di prospettive. In una società evoluta, in cui un uomo può vivere serenamente, in cui ciò che sembra un sogno impossibile (la giusta remunerazione lavorativa, la possibilità di acquistare una casa e di mantenere una famiglia) è realtà quotidiana, la violenza diviene elemento più sporadico, legato magari più alla personalità individuale che al contesto sociale, e quindi maggiormente controllabile.
L'Inghilterra continua ad avere milioni di difetti e a navigare nelle contraddizioni. Come tutti i Paesi europei. Come tutti i luoghi del mondo. Ma le opportunità non mancano. Sembra, infatti, che da quelle parti, chi lavora seriamente, guadagna seriamente. Non un pugno di briciole. O di promesse. Che sia più tutelato. Ed in un contesto più sereno, si vive meglio qualsiasi situazione. A partire dalla sconfitta sportiva.