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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Semeraro vende: il Lecce verso il commissariamento

A nemmeno un giorno dai festeggiamenti per la salvezza, il patron della società ha convocato la stampa per comunicare il disimpegno della famiglia: o un acquirente subito oppure una gestione ordinaria

LECCE - La famiglia Semeraro compie definitivamente il passo indietro rispetto agli impegni assunti e portati avanti per sedici anni. O almeno lo annuncia nei termini che seguono: se nei prossimi dieci, quindici giorni, non perverrà all'avvocato Mario Moroni alcuna concreta manifestazione di interesse, la proprietà procederà all'amministrazione ordinaria dell'attività attraverso figure non appartenenti al nucleo familiare. In questo senso, il "commissariamento" potrebbe essere affidato a tecnici con esperienza nel calcio, come Claudio Fenucci che da domani sarà in montagna per qualche giorno di riposo. E di riflessione.

Che non sia un bluff lo testimonia la voce rotta dall'emozione di Giovanni Semeraro che, con i figli e l'avvocato Moroni in piedi lateralmente, ha parlato alla stampa per circa trenta minuti al quarto piano della sede di via Templari. Il patron ha ricordato brevemente i successi di sedici anni di gestione, nove campionati di A più il decimo appena conquistato e sei di B, con cinque promozioni. Un risultato sportivo gratificante, ha chiarito, ma la risorse finanziarie del gruppo sono finite così come la volontà di impegnare uomini e tempo. "Amo questi colori e amo questa terra, ma è venuto il momento di farsi da parte".

Solo per chi ha la memoria corta questo può essere un fulmine a ciel sereno. Del resto, basta rileggere il resoconto della conferenza del 30 giugno 2010, quella del passaggio di consegne al figlio Pierandrea,(https://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=21387) per avere la chiave di lettura di tutto quello che è accaduto nei mesi successivi, fino alla sofferta salvezza e al lacerante addio di De Canio (https://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=21387). Al quale, a meno di un giorno di distanza dalla fine della stagione, viene indirettamente riconosciuta una ragione sostanziale: di certo non c'è margine per parlare di programmazione - piano A o piano B che sia - quando le parole d'ordine sono "autogestione" o "autofinanziamento".

Tanto per capirsi: non sparisce il calcio, non si va dal sindaco con il titolo sportivo in mano, ma si chiarisce in maniera ancora più netta (e stavolta trasparente) quale sarà il criterio operativo e amministrativo: tanto entra, tanto esce, la famiglia Semeraro non aggiungerà un solo euro. Il patron ha deciso di ufficializzare il disimpegno nel momento secondo lui più opportuno: squadra nella massima serie, valori tecnici ed economici non trascurabili, modello gestionale efficiente; sono queste le condizioni che renderebbero il Lecce un investimento per coloro che si dimostrassero interessati all'acquisizione. Da quale cifra di partenza però, non è stato possibile saperlo.

Due settimane dunque di stand-by prima di capire se il Lecce verrà definitivamente ceduto o commissariato. Intanto continueranno i sondaggi su papabili allenatori e direttori sportivi, per non arretrarsi troppo con i compiti (intanto il team manager, Mario Zanotti, è partito per prendere visione di due località che potrebbero essere scelte come sede del ritiro). Nel caso nessuno si dovesse fare avanti, bisognerà pur sempre organizzarsi per reggere l'impatto di un'altra stagione di serie A che, lontana tre mesi, vede già la squadra come la principale indiziata di retrocessione. Non è pessimismo, è realismo. Nel calcio moderno, più che in quello "di una volta", bisogna investire e ottenere un duplice beneficio, sportivo ed economico. Senza il primo, non viene il secondo. Senza il secondo è praticamente impossibile ottenere il primo. Un circolo virtuoso e vizioso allo stesso tempo. Al Lecce è mancato qualcosa evidentemente: il bacino di utenza, il supporto del mondo economico locale, senza dubbio.

Forse, però, un limite endemico di questa gestione è stato quello di essersi inceppato ogni qualvolta si è parlato di ciclo: il ciclo Giampiero Ventura, il ciclo Delio Rossi, il ciclo Alberto Cavasin, il ciclo Zdenek Zeman, il ciclo Gigi De Canio. Se uno solo di questi fosse stato portato a compimento, forse l'orizzonte del Lecce non sarebbe quello di chi dovrà vivere, nel migliori dei casi, alla giornata. E non si venga a dire che il Chievo o il Cesena hanno un bacino di utenza o una potenzialità complessiva superiore a quella del Lecce. Tenendo anche conto che la voce abbonati, nel calcio di oggi, conta come il due di briscola a meno che non si tratti di Juve, Milan, o comunque di squadre metropolitane.

Cattivi consiglieri? Sfortuna? Mancanza di audacia? Può essere tutto e niente, perché forse alla fine non poteva andare diversamente da come è andata. L'Us Lecce, da quando la famiglia ha ceduto la banca di proprietà, è diventata solo uno dei rami di attività che si sono nel tempo diversificate. Un ramo secco, evidentemente. Che a questo punto va tagliato dal cespite. Una scelta economicamente razionale, che nulla toglie alla riconoscenza che si deve all'unico gruppo imprenditoriale locale che abbia deciso di spendere nel calcio. Una scelta, però, che conferma quanto già intuito negli ultimi mesi, ben oltre le divisioni di fazione tra guelfi e ghibellini.

Se adesso, oltre ai comunicati di politici e istituzioni, oltre alle condanne o alle assoluzioni dei tifosi, oltre alle frasi fatte del tipo "io l'avevo detto", ci fosse una speranza che qualcuno possa aprire una nuova pagina nel libro del calcio a Lecce, è il momento che si passi dalle parole ai fatti.

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