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Sabr, il Comune non si costituisce al processo. Ed è bufera politica

Il sindaco motiva con l'insussistenza dei requisiti la mancata richiesta di danni nel processo per favoreggiamento dell'ingresso clandestino dei braccianti per la raccolta nei campi. E Sel mette in discussione l'appoggio a Risi

NARDO’ – Il Comune di Nardò non si costituirà parte civile al processo scaturito dall’operazione “Sabr” dei carabinieri del Ros, e al seguito del quale sedici persone sono state rinviate a giudizio. Era stata la sezione locale di Sinistra ecologia e libertà ad avanzare la proposta, affinché l’amministrazione potesse avanzare richiesta di risarcimento per i danni d’immagine teoricamente subiti dalla città, in vista del dibattimento del 31 gennaio.

L’operazione da cui è scaturita la proposta di Sel è ampiamente nota: i militari, dopo mesi d’indagini, hanno tracciato la struttura piramidale di un'organizzazione criminale transnazionale, dedita al favoreggiamento dell'ingresso di clandestini nel territorio italiano, per la maggior parte tunisini e ghanesi, destinati a essere sfruttati nella raccolta di angurie e di pomodori. Fatti che riguardano, in particolare, proprio il territorio neretino. Il sindaco, Marcello Risi, però, ha motivato il diniego, rilasciando una nota stampa, in cui, pur condannando umanamente il bieco sfruttamento della manodopera, ha spiegato che non vi sarebbero i presupposti a livello legale per una costituzione di parte civile. 

Secondo Risi, in tale processo, si rilevano in effetti “reati che astrattamente coinvolgono interessi che la comunità di Nardò, attraverso la sua amministrazione”. E “alla possibile commissione dei reati di riduzione in schiavitù e di caporalato si lega in modo prevalente, se non esclusivo, il possibile interesse del Comune di Nardò a costituirsi parte civile per ottenere il danno dell’immagine che ne è scaturito”. “Ma sul punto – ha proseguito – si impongono alcune considerazioni”.

La prima verte sul fatto che il reato di riduzione in schiavitù è stato escluso dal tribunale del riesame. Secondo quanto espresso dai giudici, infatti, “i lavoratori extracomunitari hanno dichiarato di essere giunti a Nardò, non perché a tal fine coartati da taluno, bensì perché, avendo saputo che in tale città vi erano molti imprenditori alla ricerca di manodopera per la raccolta di prodotti agricoli, avevano deciso autonomamente di recarvisi con la speranza di trovare occupazione. Così come spontaneamente giungevano a Nardò così liberamente i cittadini extracomunitari potevano, in qualsiasi momento smettere di lavorare e andare via da Nardò: il motivo per il quale vi rimanevano, pertanto, non va ricercato in una restrizione di libertà operata dai caporali o dai datori di lavoro, bensì nell’assenza di migliori alternative”. Dunque, mancherebbero gli elementi minimi per ritenere configurabile il reato di riduzione in schiavitù”. Argomentazioni che Risi condivide.

La seconda considerazione riguarda i reati ascrivibili al caporalato (articolo 603 bis del codice penale). “Tale reato – dice il primo cittadino - è stato inserito nell’ordinamento solo il 13 agosto 2011, alcuni giorni dopo lo sciopero della Masseria Boncuri. Prima di quella data il caporalato non era reato. In Italia, per un ovvio principio garantista e di civiltà, nessuno può essere condannato per un fatto che non era considerato reato al momento in cui è stato commesso. I fatti oggetto del processo sono tutti precedenti al 13 agosto 2011: come può ipotizzarsi il reato di caporalato se il reato neppure esisteva?”, si chiede il primo cittadino, citando il “principio d’irretroattività della legge penale”.

Dunque, “appare poco fondata la possibilità che il Comune possa costituirsi parte civile assumendo di aver ricevuto danni d’immagine dai reati di riduzione in schiavitù o caporalato, che effettivamente appaiono non sussistere. Né può ragionevolmente prendersi in considerazione la costituzione di parte civile genericamente volta al risarcimento di danni non riferibili ai reati sopradetti”.

Questa la conclusione, pur nella “forte riprovazione dell’amministrazione comunale di Nardò verso ogni forma di caporalato e di sopruso ai danni dei lavoratori extracomunitari. I soprusi, gli abusi, le ingiustizie che essi hanno subito offendono l’anima della nostra città. La presenza di lavoratori extracomunitari nel nostro territorio – dice ancora Risi - arricchisce di umanità la nostra terra e deve stimolare politiche di solidarietà e integrazione fondate sulla dignità dell’uomo”. Da qui, l’assicurazione che per eventuali altri casi futuri, “considerando legittima e opportuna la costituzione di parte civile dell’ente in processi per il reato di caporalato, fin da ora dichiara che valuterà con attenzione l’intervento in processi volti a sanzionare condotte riconducibili all’articolo 603 bis del codice penale”.

Non s’è fatta attendere la replica del circolo Sel “Noveaprile” di Nardò che critica aspramente il “no” del sindaco, visto come un gesto che “riporta la Città di Nardò ai tempi oscuri del medioevo”. E non risparmia una stoccata, citando un passaggio del 23 maggio 2012, quando in piazza Salandra, ricorda Sel, Risi aveva dichiarato: “ Quando si ha notizia di ipotesi di reato così gravi l’amministrazione comunale deve fare la sua parte, indipendentemente da quello che sarà l’accertamento dei fatti contestati. Noi pretendiamo a Nardò il rispetto di civiltà. La magistratura faccia il suo corso, ma noi non chiudiamo gli occhi”.

Molto critica, dunque, Sel, sulla “disquisizione giuridica” di Risi, che “non attiene alle sue funzioni di primo cittadino, che sono invece quelle di salvaguardare la rispettabilità della città: il giudizio sulla fondatezza dell’impianto accusatorio non compete né a noi né al sindaco”. E non manca anche qualche battuta al vetriolo. “E’ evidente il cambio di registro dell’attuale posizione che ci induce a sospettare l’intervento di forti pressioni nel determinare un così eclatante cambio di rotta”, dicono gli attivisti di Sel.

“Il sostegno dimostrato da molti cittadini alla costituzione di parte civile nel processo ‘Sabr’ ci conforta nella convinzione che, indipendentemente, appunto, dall’esito del processo, Nardò debba fare la sua parte nel rivendicare il ripristino delle condizioni di legalità e diritti sul proprio territorio per tutti i lavoratori, non solo migranti, che continuano a subire soprusi nel silenzio delle autorità”.

Ed arriva anche un annuncio, che riguarda l’assessore Vincenzo Renna. “In questo clima Sel non può che rimettere la delega alle politiche migratorie, riservandosi di ripensare il proprio sostegno a questa maggioranza. In virtù del fatto che altri soggetti hanno già formalizzato la loro costituzione di parte civile – conclude la nota del circolo -, l’assenza del Comune di Nardò appare come uno schiaffo al senso civico di questo territorio”. 

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