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Otranto, dal mosaico alla Cattedrale: vince l'incuria

Dopo l'articolo dei giorni scorsi, le diverse reazioni hanno mostrato l'interesse ed il fascino che il mosaico di Otranto riesce ancora ad esercitare. Ma la situazione si dimostra ancora più complessa

Solo pochi giorni fa un articolo di Lecce Prima (https://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=4462) aveva segnalato con allarme le penose condizioni del mosaico di Otranto, abbandonato all'incuria e a qualche presunta razzia da parte di turisti in cerca di originali souvenir. Diversi commenti hanno fatto seguito insieme ad un autentico boom di letture per un argomento, che ha sollevato le reazioni più disparate: c'è chi è rimasto sorpreso, chi ha contestato la forma di quel pezzo e chi, come i membri dell'Osservatorio permanente Torre di Belloluogo, ha dimostrato particolare preoccupazione e sensibilità al fatto, dandone ampio spazio sul proprio sito (https://www.torredibelloluogo.com).

A distanza di qualche giorno da quello speciale, s'impongono alcune doverose riflessioni: innanzitutto occorre constatare che l'interesse nei confronti dell'episodio ha coinvolto particolarmente molta gente oltre i confini della sola Otranto, a testimonianza del valore e del fascino che il mosaico di Pantaleone ricopre nella cultura nazionale ed internazionale; non vanno dimenticati i flussi di turisti (in prevalenza tedeschi) che vengono a visitare la Cattedrale appositamente per il mosaico, dopo averlo conosciuto e studiato. A dir la verità, gli otrantini hanno commentato poco l'articolo… sembra quasi che si appassionino di più allo scontro politico, nudo e crudo. Nei commenti è poi emersa soprattutto un'idea: dallo spunto di un mosaico comunque trascurato, è nata una riflessione a 360° sulla gestione stessa della Cattedrale. Nello specifico, sono state sollevate delle precise responsabilità: per la manutenzione pressappochista del mosaico sono state fermamente indicate la parrocchia Cattedrale e la Curia otrantina, enti che di fatto gestiscono la Cattedrale e il suo mosaico.

La scarsa cura di uno dei tesori più preziosi del Salento è evidente: da anni si registra in cattedrale la presenza di personale che, seppur dotato di buona volontà, risulta del tutto priva della competenza richiesta per custodire un bene artistico di tale pregio. Personale tra l'altro cronicamente insufficiente che, oltre ai compiti specifici di manutenzione, si deve dividere con gli oneri da sagrestano in una chiesa, che resta pur sempre una parrocchia a tutti gli effetti, con tutta una serie di funzioni sacre che regolarmente si svolgono. Tra l'altro, la doppia funzione di parrocchia e di monumento artistico della cattedrale di Otranto risultano spesso e volentieri in conflitto: gli orari per le visite sono ovviamente limitati dalle azioni liturgiche che quotidianamente vi si celebrano; inoltre la tutela del mosaico, se è vero che la navata centrale, il pezzo più pregiato dell'opera musiva, è tutelata dal calpestio della gente (non è possibile accedervi direttamente, ma solo ammirarla dai lati), è altrettanto vero che la stessa navata a cadenze settimanali è invasa da file di sedie in legno utilizzate per le celebrazioni festive e che il trasporto delle sedie possa essere anche più dannoso del calpestio dei visitatori.

Non è da sottovalutare, dunque, l'eterno conflitto tra la cattedrale come "parrocchia" o "bene artistico": perché sebbene molti uomini di chiesa sostengano che la cattedrale sia esclusivamente un "luogo di culto", l'attenzione che il mondo della cultura e dell'arte le rivolge dimostra l'incompletezza di quella definizione. E, al di là di questo nodo irrisolto, la tutela di un bene necessita di investimenti nella qualità della manutenzione e dei servizi, oltre che nella quantità del personale (scindendo possibilmente quello attento alle funzioni sacre da quello supervisore del fattore artistico). Sarebbe da approfondire la negligenza più grave di tutta questa vicenda, e cioè, "l'immagine di un mosaico che per secoli è stato l'emblema dell'identità culturale e della fede di un popolo e che viene messo in pericolo proprio dall'incuria degli eredi di quel popolo rimanda ad un inesorabile e lento declino dell'identità di fede", come pubblicato sul blog (https://blog.libero.it/ilrestoecommento). Se, infatti, l'opera di Pantaleone è per il turista un esempio sublime di arte medievale e di testimonianza della vita religiosa e culturale del tempo, per un otrantino, dovrebbe rappresentare il prezioso attestato di una fede tramandata di generazione in generazione.

Come, ad esempio, si sostiene che le fondamenta della chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli fossero state impastate con le ossa dei martiri (a testimonianza simbolica di un luogo che si sostiene sul sangue dei martiri), similmente ad Otranto, il credente, superando la soglia veniva indirizzato verso Oriente (in una simbologia che indicava la venuta di Cristo), ed invitato a camminare su quel mosaico "narrante" la storia della salvezza, come ad indicare una storia che lo sosteneva. Il mosaico ha dunque un valore artistico che si coniuga principalmente con una cultura di fede, ma anche con tutta una serie di categorie occidentali ed orientali, al rispetto, all'integrazione e al dialogo fra differenti tradizioni e realtà culturali.

È opportuno concludere con una provocazione ispirata da un commento, che cita la figura di don Grazio Gianfreda, scomparso di recente: per chi non lo conosce, è stato a lungo il parroco della Cattedrale, ma soprattutto uno studioso autodidatta del mosaico e della cattedrale, che con la sua opera certosina, ha contribuito a promuovere la bellezza e la profondità culturale dell'opera musiva di Pantaleone. Nando Malerba di Maglie si chiede se "con il simpatico e attento don Grazio sarebbe successo uno scempio simile"? E' difficile stabilirlo, ma di certo si percepisce la mancanza della sua accorta premura nei confronti di un'opera, che, al di là di razzie reali o presunte e di manutenzioni carenti, dovrebbe stare a cuore ad un popolo, che appartiene a quella storia così sapientemente rappresentata.

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