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Sabato, 27 Aprile 2024

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A cura di Redazione

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Bestiario del sogno di Franco Santucci: l’amore e il rapporto tra umani e macchine

Bestiario del sogno (Wojtek Edizioni) dello scrittore pugliese Franco Santucci è una raccolta di sedici racconti con un’architettura misteriosa e avvolgente

In Bestiario del sogno (Wojtek Edizioni – Collana Orso Bruno), Santucci parla di relazioni amorose, di rapporto tra umani e macchine attraverso l’incontro simbolico tra uomo e animale, onirico e fantastico e lascia che siano gli proprio gli animali e il loro simbolico a ricorrere nei racconti. Se gli animali sono funzionali a innescare situazioni paradossali, l’uso del simbolico garantisce al non detto di emergere e raccontarsi supportato anche dalla scelta di un narratore quasi sempre in prima persona poiché conosce la storia più di chiunque altro.

L’autore usa il simbolismo con sapienza, esorcizzandone trappole e insidie e rende la fauna che popola i racconti foriera di rivelazioni e divinazioni. Con l’incontro tra l’umano e l’animale, Santucci fa deflagrare l’asse spazio-tempo e apre nuovi percorsi verso l’inconscio.

Per entrare nel vivo dell’antologia, la presente nota è concepita come un viaggio tra i sedici incipit dei racconti che la compongono. Ogni incipit condensa mondi e visioni con parole precise, puntuali e funzionali alla narrazione breve o brevissima che l’autore ha scelto di adottare. E lo fa con un dispositivo linguistico ritmico e una lingua semplice che è frutto di un lungo lavoro di equilibrio e cesellatura.

Il cilindro d’acqua s’innalza nel cielo annerito. È una torre di liquido che risale veloce verso l’alto con un’intensità da catastrofe imminente. (pag. 5, Dreamaker)

Quando racconto questa storia, molti tendono a pensare che il mio sodale sia una persona che, per varie ragioni attinenti al suo lavoro o al suo carattere o ancora al suo modo di vivere, viene da me definita, senza mezzi termini, “avvoltoio”. (pag. 17, Io e l’avvoltoio)

Dissi a mio figlio di non togliersi le ciabatte perché potevano esserci dei pezzi di vetro. Alle spalle ci lasciavamo il molo e una luce giallo tenue che né il bianco della banchina né i riverberi sull’acqua del canale erano riusciti a scaldare (pag. 23, Serpente bianco)

La prima volta che la vidi fu nel corridoio lungo di un palazzo novecentesco, dai soffitti alti e dai pilastri geometrici, che percorrevamo assieme discorrendo di letteratura e di cinema inglese. Seni come volute di una cattedrale, spalle solide e fianchi pieni che sembravano imporle una statura da ragazza. Marta parlava e nel territorio delle sue mani, movimenti, viso e labbra, la sua voce nasale, affatto indimenticabile, apriva in me una moltiplicazione di desideri e vie di fuga. (pag. 25, Sud)

C’è una leggenda nella mia famiglia che viene narrata da anni, inizia con un salto e una corsa a perdifiato e finisce con un rametto di gelso. […] Se fossi stato io il narratore l’avrei allungata aggiungendovi una faina, un disturbo post-traumatico e un giallo pallido, ma in genere preferisco il silenzio. (pag. 31, La leggenda)

Volle essere una poiana solo per il volo. Ogni falconiere avrebbe sdegnato quella scelta, ma per lui era diverso, doveva ricongiungersi all’altopiano, rivivere la massa di pomeriggi e ulivi secolari, radure coltivate e macchie fitte di castagni. Le torri di campagna spezzavano il paesaggio e la provinciale era un serpente infinito di prede. (pag. 37, Poiane)

Al termine dell’interrogatorio, il conte disgregò il suo pensiero in una nuvola di nebbia: si muoveva, si ingrossava, ricopriva la stanza, si disperdeva fino alla mattina in cui la primavera si era arenata e la campagna divenuta palude. (pag. 39, L’uomo che uccise il re)

Il cuore mi sprofonda all’insù. La guida è morta da un numero incalcolabile di minuti e io non faccio altro che guardare il delta celeste in alto, attraverso gradazioni di verde. Erba e felce, foresta e smeraldo. È il manto di una nuova specie di giaguaro, azzurro con macchie verdognole, pronto a inseguire le scimmie ululanti e acrobatiche sui rami. (pag. 45, Giaguaro verde)

Le bestie latravano al cancello, Luna, il cane nero, rispondeva senza paura, anche se in inferiorità[…] (pag. 48, Il cane lince)

La musica le entrava rapida, scompariva nelle ossa, si scomponeva in movenze sterili, dalle mani innalzate in un dittico, alla luce afosa e intermittente dei capelli, dai movimenti alternati, vestiti in avvicinamento verso uomini aleatori, fino alle sequenze confuse di pelle e labbra, prima di nascondersi, scomparire, come non fosse mai esistita e costringermi ad anticipare le mosse. (pag. 51, Matricola BC01)

Ero l’uomo attempato, dalla pancia abbondante e dal sudore in evoluzione, sulla sua giovinezza esplosa in arte, sui seni tesi che foderavano la mattina, sui respiri che percorrevano la schiena. (pag. 57, Il lago)

Gli artigli penetravano nella spalla, il brandello di pulcino, un filamento rosso sotto un frammento di becco, era inviolato sulla superficie del guanto, mentre il mio viso si contorceva immobile. (pag. 63, La malattia del falco)

Il becco flautato trascinava in basso la pelle della falange mentre la gabbia permaneva fissa all’altezza della mia testa, con grande sforzo del braccio. Il gatto non lasciava il passo, mi seguiva, anelando i volatili tra le sbarre e quel tenero dilemma di gusto, mentre loro, gialli come l’inferno, si affannavano a rotazione sul mio dito. (pag. 73, Canarini)

Omissis… (pag.79, Animali da Primavera)

I cani bianchi inseguivano i cani neri. Correvano lungo corridoi ricurvi della fortezza settecentesca affacciata sul mare. (pag.85 La corsa)

Gli artigli del leopardo erano a pochi centimetri dalla mia testa. Il manto, fluido e maculato scorto da prospettiva bassa, si stendeva davanti ai miei occhi: ogni macchia una storia incompiuta, una storia che vorrebbe essere tutte le storie. (pag.87, Lo zoo) 

Nell’unico racconto di cui non è menzionato l’incipit, ma un voluto omissis, Santucci ricorda il racconto “Pan” di George Egerton per l’arroganza, la prepotenza e il dominio del maschile sulla natura. Se in Pan è memorabile la scena della cattura dei piccioni tra le gole dei monti baschi, in “Animali da primavera” l’autore di Bestiario del sogno (Wojtek – Collana Orso Bruno) mette in scena il momento esiziale di una cornacchia per mano di un uomo di cui si fida. La cornacchia è l’unico essere in grado di assumere qualsiasi sembianza e avere il dono dell’ubiquità. Incarna ciò che la divinità rappresenta ed è associata alla guerra, alla morte e al lato oscuro dell’animo umano e quell’oscurità spesso emerge dalle pagine della raccolta, così come il colore giallo che predomina anche nell’incipit del succitato Pan.

Santucci è uno scrittore da jetlag letterario, genera spaesamento. Fa del sogno e della visionarietà ad esso legata la sua cifra narrativa. I suoi sono sogni spesso perturbanti e permettono all’inconscio di deflagrare nella materia onirica. Il suo forse è un lavoro che rientra nello Slipstream perché valica confini di diversi generi, li mescola e spariglia dando vita a racconti così concentrati che offrono possibilità ampie di diluzione da parte del lettore. Uno spazio letterario aperto che si amplia ogni volta che una nuova opera narrativa, come Bestiario del sogno di Franco Santucci, si cimenta nel gioco creativo dell’ibridazione dei generi senza mirare a provocare un senso di meraviglia, consolidando invece il fantastico, a volte il surreale per restituirci una letteratura fluida ad alta sensibilità postmoderna. Perché a fronte di una modernità incompiuta, onirico e visionarietà diventano un simbolo, un’immagine, uno spazio creativo interiore, un modo di pensare, qualcosa che non smette di produrre significati.

Franco Santucci è nato in Puglia e vive a Milano. Alcuni suoi racconti sono apparsi online su «CrapulaClub» e «Fillide». Bestiario del sogno (Wojtek Edizioni) è il suo esordio letterario.

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