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Cronaca

Novecento lavoratori stranieri in Italia con procedure false: tre imprenditori salentini in arresto

Ai domiciliari gli indagati fermati dalla guardia di finanza del comando provinciale di Lecce e dagli ispettori del Nil dei carabinieri, all'alba di oggi. Sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

LECCE – Carte false e assunzioni altrettanto fittizie per far giungere in Italia circa 900 lavoratori stranieri, tutti provenienti dal Senegal e dal Marocco. All’alba di oggi, tre imprenditori salentini sono finiti agli arresti domiciliari, a seguito di una attività investigativa condotta dalla guardia di finanza della tenenza di Porto Cesareo e dai carabinieri del Nil, il Nucleo ispettorato del lavoro.

Nei guai Antonio Romano, di 53 anni; Paola Tarantino di 47 e Gabriele Madaro, di 26 anni. Si tratta, rispettivamente, del titolare di una azienda agricola di Leverano, della proprietaria di un'attività ristorativa di Monteroni di Lecce e di quello di una ditta edile, sempre monteronese. Le misure restrittive, disposte dalla gip del Tribunale di Lecce Anna Paola Capano, sono state richieste dalla sostituta procuratrice Patrizia Ciccarese della Procura della Repubblica del capoluogo salentino.

La genesi dell'indagine

Un'indagine, essenzialmente cartolare, basata anche sull'analisi dei flussi di denaro: i lavoratori stranieri avrebbero pagato diverse somme per accedere al territorio italiano. Tramite la procedura informatizzata - che da alcuni anni consente via web di compilare i moduli per richiedere l’ingresso di cittadini stranieri nell’ambito dei “decreti flusso” – gli indagati avrebbero fatto richiesta di lavoro subordinato risultato, tuttavia, inesistente.

Tutto nasce nei primi mesi del 2023, quando l’inchiesta muove i primi passi tramite alcune perquisizioni e accertamenti bancari a carico degli indagati. Questi ultimi, dal 2020, avrebbero operato per favorire l’ingresso clandestino sul territorio italiano di circa 900 persone residenti al di fuori dei confini della Comunità europea. Come? Falsificando documenti e atti che avrebbero attestato assunzioni lavorative mai avvenute.

Uno dei tre indagati percepiva il Rdc

Stando a quanto ricostruito dall’Arma e dalle fiamme gialle, i tre indagati avrebbero richiesto una somma di mille e 500 euro per ognuna delle pratiche relative al rilascio del permesso di soggiorno. Solo una volta ottenuto il denaro, avrebbero inoltrato il modello informatico al portale del Ministero dell’Interno. Una attività che, sempre secondo quanto ricostruito dai finanzieri e dai carabinieri, avrebbe fruttato ai tre introiti per oltre un milione e 300mila euro. Uno dei tre, per giunta, avrebbe richiesto e ottenuto persino il Reddito di cittadinanza, arrivando a percepire circa 20mila euro.

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