rotate-mobile
Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Detenuto leccese trovato morto in cella: pestato su ordine di due agenti pentienziari

Giovanni Pucci, il 44enne morto suicida in cella e condannato per l'omicidio della dottoressa Maria Monteduro, sarebbe stato pestato da un gruppo di detenuti su mandato degli agenti della penitenziaria perché voleva uscire dal "giro" del traffico di droga in carcere

LECCE – E’ un puzzle di storie che si intersecano, tragiche e violente, la vicenda di Giovanni Pucci, il detenuto morto suicida in cella lo scorso 25 luglio nel carcere “Due Palazzi” di Padova. Il 44enne di Castrignano del Capo era una delle persone coinvolte nell’inchiesta denominata “Apache” e coordinata dalla Procura della Repubblica di Padova su un presunto giro di droga, telefoni cellulari e materiale pornografico nel carcere della città veneta e che l'8 luglio scorso aveva portato all'arresto di un avvocato e sei guardie penitenziarie in servizio nella struttura padovana.

Pucci, che secondo quanto ipotizzato dall’accusa aveva il compito di consegnare lo stupefacente ai detenuti, avrebbe raccontato agli inquirenti (pochi giorni prima di togliersi la vita) di essere stato picchiato come punizione per aver confessato di voler uscire dal “giro” di droga e materiale pornografico. Un pestaggio eseguito da parte di alcuni carcerati su ordine degli agenti di polizia penitenziaria coinvolti nel giro di affari illeciti. Per questo la Procura di Padova ha iscritto nel registro degli indagati sei carcerati e due agenti della polizia penitenziaria.

Lo scorso 10 agosto si era suicidato, tagliandosi le vene, anche un altro degli indagati, l’ispettore della polizia penitenziaria Paolo Giordano, 40 anni, originario di Frosinone, trovato cadavere nell'alloggio di servizio dove era ai domiciliari. Una scia di morte che sembra avere origine e svilupparsi dal carcere “Due Palazzi”, una delle strutture più affollate d’Italia.

Quella di Pucci è una storia legata indissolubilmente alla morte della dottoressa Maria Monteduro, la 40enne uccisa a colpi di cacciavite la notte tra il 24 e il 25 aprile 1999 mentre era in servizio di guardia medica a Gagliano del Capo (Lecce), comune in cui era anche assessore ai Servizi sociali. La donna fu trovata priva di vita nelle campagne nei dintorni di Gagliano del Capo, uccisa con un cacciavite.

L'inchiesta che seguì e che durò diverso tempo, portò all'arresto di Pucci, all’epoca tossicodipendente. Altre due persone furono sospettate di favoreggiamento, ma il 44enne fu l'unico condannato. La ricostruzione minuziosa degli investigatori svelò che l’uomo (poi trasferitosi ad Alma Ata, in Kazakistan, dove fu arrestato), in stato di alterazione psichica, chiese aiuto alla dottoressa dopo essere stato picchiato da alcuni spacciatori. Lei, impietosita, lo riaccompagnò a casa, ma alcune parole di rimprovero verso il giovane (“pensa almeno a tua madre e a tuo padre”) scatenarono la sua rabbia incontrollata, che si trasformò in un orrendo crimine.

Al momento del delitto, secondo investigatori e giudici, Pucci era sotto l’effetto di un cocktail di stupefacenti. Per quell’omicidio, il 30 settembre 2003, Pucci era stato condannato all’ergastolo, pena poi rideterminata definitivamente in 30 anni dalla Cassazione il 10 gennaio scorso su ricorso dei difensori (gli avvocati Luca Puce e Giuseppe Stefanelli, del foro di Lecce). La rideterminazione della pena aveva aperto per lui una serie di benefici, tra cui il permesso di lavorare fuori dal carcere come elettricista. Il 44enne usciva al mattino dal carcere e rientrava la sera per dormirvi; l’anno scorso si era anche sposato. Una decina di giorni fa, però, il magistrato di sorveglianza gli aveva sospeso il permesso di lavoro esterno dopo il coinvolgimento dell’uomo nell’inchiesta.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Detenuto leccese trovato morto in cella: pestato su ordine di due agenti pentienziari

LeccePrima è in caricamento