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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

La festa della Liberazione con l’ultimo partigiano leccese. Applausi al prefetto

In Piazza d'Italia le celebrazioni per il 68° anniversario della sconfitta del nazifascismo. Presente Umberto Leo, membro della Brigata Garibaldi. Consensi per l'intervento del prefetto, Giuliana Perrotta: "Unità e difesa della Costituzione"

LECCE – Il racconto di questo 25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo, inizia con la storia di Umberto Leo e finisce con il discorso del prefetto di Lecce, Giuliana Perrotta.

Combattente partigiano il primo, membro della XIX divisione “Eusebio Giambone” della Brigata Garibaldi. Leccese, classe 1926, nel ’42, entra nella guardia di finanza. Le sorti della guerra sono avverse e l’Italia fascista chiama e sprona i suoi giovani a coprire le retrovie. Leo diventa “Leos”, questo il nome di battaglia che sceglierà già l’8 settembre, mentre si trova nella zona di Lanzo Torinese, dove amici lo contattano, e combatte in Piemonte dal primo all’ultimo giorno della Resistenza. La liberazione di Torino lo colse in ospedale, dove era stato ricoverato a seguito dell'esplosione di una granata, le cui schegge lo avevano colpito ad un polmone: fu un contadino a trovarlo, gravemente ferito, molte ore dopo la deflagrazione, e dopo averlo portato nella propria casa, prese contatto con i partigiani. Rientrò a Lecce nel luglio successivo, dopo dieci giorni di viaggio e negli anni segueni fondò con Enzo Sozzo - forse il più noto dei partigiani salentini - e pochi altri la locale sezione dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia).

Oggi Umberto Leo era in piazza d’Italia, sede improvvisata delle celebrazioni per i lavori in corso in Piazza dei Partigiani. Con il fazzoletto dell’Anpi, gli occhiali da sole, e una stampella che lo aiuta a camminare, sorretto dai familiari ma anche spinto dall’applauso della folla al passaggio del gonfalone dell’Anpi prima dello schieramento attorno al monumento ai caduti delle due guerre. Insieme a lui sono rimasti in vita ben pochi dei protagonisti di quella fondamentale pagine della storia: tra loro Salvatore Sicuro, di Martano (presidente provinciale dell'Anpi), e Rocco Preite, di Taurisano.

Ed è sui grandi conflitti del secolo scorso che il prefetto imbastisce il suo intervento, dal tono istituzionale ma di indubbio spessore, a testimonianza di un esercizio del ruolo che va oltre la retorica e le piccolezze della politica politicante. Dopo aver ricordato il prezzo di sangue pagato alla Prima guerra mondiale, Giuliana Perrotta ha detto: “Abbiamo vinto la guerra, ma abbiamo perso la pace”, consegnando il Paese alla dittatura, alle leggi razziali, all’abbraccio mortale con la Germania hitleriana. Poi, sul secondo evento bellico ha ribaltato la prospettiva: “Con la sconfitta, invece, potevamo risorgere” riscattando il concetto di patria dall’uso reazionario dei primi decenni del secolo e dalla retorica di regime grazie alle donne e agli uomini, delle più diverse convinzioni politiche, che hanno sacrificato la loro vita per liberare l’Italia al fianco degli Alleati.

Il prefetto ha ribadito dunque con convinzione, l’interpretazione della Resistenza come secondo Risorgimento – e non sono casuali le citazioni dei movimenti vicini a Mazzini e Garibaldi come avanguardie dell’indipendenza dallo straniero – e auspica l’impegno di tutti gli italiani di oggi, e soprattutto dei loro rappresentanti politici, a difesa dell’unità e della Costituzione. Parole che hanno trovato il sincero applauso di una piazza che ha mai fatto sconti alla retorica istituzionale.

umbertoLeo-2-2Ed è alla storia tragica di una donna salentina che è andato il ricordo commosso di Maurizio Nocera, segretario provinciale dell’Associazione Partigiani d’Italia. Maria Teresa Sparascio, nata nel 1906 a Caprarica del capo, frazione di Tricase, morì il 7 ottobre del 1944, a Parma, in seguito alle ferite riportate il 24 settembre di quell’anno durante un rastrellamento nazista: un soldato tedesco, secondo le testimonianza della sorella e di una delle tre figlie (aveva anche un maschio), sparò dall’esterno verso la finestra della mansarda della casa di Langhirano dove la donna stava preparando indumenti e documenti per il marito, carabiniere di origine sarda passato poi tra le fila della Resistenza, che aveva conosciuto nel 1932 a Tricase, dove l’uomo era stato inviato dall’Arma prima del trasferimento in Emilia. Maria Teresa Sparascio è stata la più nota staffetta partigiana salentina anche se, grazie allo studio di Pati Luceri (Partigiani e antifasciti di Terra'Otranto, Giorgiani editore, 2012) sono state riscoperte le storie di Sieve Luigina Alfarano (Casarano), Aida Caggiula (Parabita), Adele e Amelia Mileo (Lecce), Giulia Mosco (Lecce), Carmela Scrimieri (Novoli). A loro, poi si aggiungono i nomi di donne residenti a Lecce ma nate altrove: Antonia Maria Maggiore, Antonietta Fazzini, compagna del partigiano Enzo Sozzo e Annunizata Fiore, originaria di Avellino e impegnata nella Divisione Gramsci, in Albani, a soli 13 anni.

Esiste, del resto, un contributo non trascurabile della provincia di Lecce alla Liberazione, che è ancora poco noto ai più e che solo ostinati studi – nell’indifferenza dell’accademia e delle istituzioni locali – possono testimoniare: oltre 200 deportati nei campi di sterminio, poco meno, 160, i caduti contro gli occupanti (68 i feriti, più di 800 i combattenti), nelle più disparate zone d’Italia: militari regolari, molti i carabinieri, che non avevano esitato un attimo – dopo l’armistizio dell’8 settembre - a scegliere la strada della libertà e del riscatto abbracciando la causa partigiana. E i numeri non possono considerarsi ancora definitivi.

Alla manifestazione – conclusasi come al solito con il canto “Bella ciao” partito spontaneamente dalla piazza - hanno partecipato diversi parlamentari: Teresa Bellanova e Salvatore Capone del Partito democratico, Roberto Marti e Rocco Palese per il Pdl. Son intervenuti il sindaco di Lecce, Paolo Perrone e il presidente della Provincia, Antonio Gabellone.

La commemorazione in piazza d'Italia

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