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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Lequile

Ucciso a colpi di pistola mentre preleva al bancomat, Capone resta in carcere

Rigettata l'istanza presentata dal legale del 28enne di Lequile, ritenuto il complice del 31enne albanese nell'assassinio del direttore di banca in pensione Giovanni Caramuscio

LECCE – I giudici del tribunale del riesame di Lecce hanno rigettato l’istanza di scarcerazione avanzata dall’avvocato Francesco De Carlo per conto di Andrea Capone, il 28enne di Lequile accusato di aver partecipato alla cruenta rapina sfociata nella morte di Giovanni Caramuscio, 68enne. Direttore di banca in pensione, l’uomo è stato ucciso a colpi di pistola la sera del 16 luglio scorso davanti agli occhi atterriti della moglie, nei pressi dello sportello automatico del Banco di Napoli di Lequile, dove la coppia si era fermata per un prelievo, dopo una serata trascorsa in compagnia di alcuni parenti.

Se Paulin Mecaj, albanese di 31 anni, anch’egli residente a Lequile, è ritenuto l’autore materiale degli spari che hanno colpito a morte il malcapitato 68enne, Capone è l’uomo individuato dai carabinieri del Nucleo investigativo e della stazione di San Pietro in Lama, dipendente dalla Compagnia di Lecce, quale complice nel maldestro tentativo di rapinare i soldi della vittima. Mecaj avrebbe aperto il fuoco dopo la reazione di Caramuscio, tutt’altro che intenzionato a cedere al ricatto, tanto da sferrate un pugno che avrebbe colpito al volto proprio Capone.

L’istanza al riesame, con la richiesta quantomeno di attenuazione della misura, dal carcere ai domiciliari, era stata depositata ritenendo la difesa che i filmati del sistema di videosorveglianza estrapolati dalla banca e usati dagli investigatori per fare luce sulle identità degli aggressori, non comproverebbero in modo così evidente e chiaro la presenza di Capone sul posto quella sera, così come non sarebbe individuabile la felpa indossata, un indumento dal motivo molto particolare di cui è in possesso del 28enne e che per i carabinieri avrebbe avuto addosso proprio quella sera.     

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Continua quindi a reggere l’impianto investigativo dell’Arma e del sostituto procuratore Alberto Santacatterina. Nell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Laura Liguori, si ritiene che sussistano gravi indizi di colpevolezza sia per Mecaj, sia per Capone, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, del ritrovamento di indumenti e quindi dalle comparazioni effettuate.

Tra questi indumenti, vi è una felpa in cui è ritratta una persona con gli occhi chiusi, tatuata sul volto, circondata da una serie di motivi geometrici. Corrisponderebbe a quella indossata da Capone e visibile in alcune foto sul suo profilo Facebook. “Ha caratteristiche particolari e pertanto può ritenersi poco comune rispetto ad altri indumenti recanti il logo di marche note e di più comune utilizzo”, ha osservato il giudice, secondo il quale sono elevati il rischio di reiterazione del reato, nonostante il 28enne sia incensurato, sia di inquinamento probatorio.

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