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Lunedì, 29 Aprile 2024
Maltrattamenti in famiglia / Leverano

Ceffoni e cinta usata come frusta contro moglie e figlio: in carcere per scontare tre anni

Respinte tutte le richieste di misura alternativa, dopo che è divenuta definitiva la condanna, i carabinieri della stazione di Leverano hanno eseguito un'ordinanza nei confronti di un 57enne che per tre anni avrebbe creato un clima di terrore fra le pareti domestiche

LEVERANO – Offese irripetibili, umiliazioni e poi la punizione corporale ogniqualvolta qualcosa non gli andava a genio, arrivando anche a usare a mo’ di frusta la cintura dei pantaloni. I fatti sono piuttosto datati, visto che sarebbero andati avanti dal 2013 al 2016. Moglie e figlio, vittime delle angherie, nel frattempo si sono emancipati da quella sorta di padrone. Lo stesso ragazzo, che quando tutto avrebbe avuto inizio aveva appena 10 anni, oggi è maggiorenne.

Ma le ferite nell’anima delle vittime, quelle restano. Così come resta il conto da pagare per certe condotte. E per un uomo di 57 anni, originario del Marocco, anche se da anni stabilitosi in Italia, il tempo è arrivato. Sono tre gli anni di pena residua da scontare sulla condanna, divenuta definitiva sul calare del 2020.

Rigettate tutte le richieste di misure alternative presentate dal suo legale, l’avvocato Francesco Romano, quali affidamento in prova ai servizi sociali, semilibertà e detenzione ai domiciliari, il 57enne, così, ieri è stato prelevato da casa dai carabinieri della stazione di Leverano, dove risiede, e trasferito nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce. Nei fatti, è stato revocato il decreto che disponeva la sospensione dell’ordine di esecuzione della carcerazione.  

Maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, reati aggravati e continuati, cui si aggiunge, dopo l’inevitabile separazione dalla moglie una volta che lei ha spezzato il giogo della paura, anche la violazione degli obblighi di assistenza, sono i reati per i quali l’uomo deve scontare la pena.

In casa si doveva respirare un clima davvero avvelenato. Percosse, a mani nude o con la cinta, quest’ultima usata in particolare contro il figlio e su più parti del corpo, sarebbero state pressoché quotidiane. Per almeno tre anni di fila non vi sarebbe quasi stato un singolo giorno in cui, con il più banale dei pretesti, l’uomo non avrebbe sfogato su consorte e ragazzo la sua ira. Accompagnando il tutto con insulti irripetibili.

Ma frustrazione e terrore non potevano durare in eterno. E un giorno, verso la fine del 2016, la donna, ormai stanca dei soprusi, prese un aereo per ritornare in Marocco, laddove la coppia si era sposata, per arrivare così a ottenere il divorzio. Solo il primo passo, in realtà, sulla strada della libertà, perché poi sarebbe stata presentata, una volta rientrata in Italia, anche una corposa denuncia davanti carabinieri, quella che fece avviare le indagini approdate poi a un processo e, infine, a una condanna. 

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