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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Nardò

Morì a 47 anni mentre raccoglieva pomodori, chiesta la conferma della condanna

Sta per volgere al termine il processo d'appello sul decesso di Abdullah Mohammed, avvenuto il 20 luglio del 2015, in località Pittuini, a Nardò. Il pg ha ivocato una lieve riforma della pena per l'unico imputato rimasto (l'altro è deceduto), ritenuto il caporale: da 14 anni e mezzo a 13 e mezzo

NARDO' - Chiesta la conferma della sentenza di condanna, seppur con una lieve riduzione della pena, da 14 anni e mezzo a 13 e mezzo di reclusione, per l’uomo rimasto unico imputato nel processo sulla morte del 47enne Abdullah Mohammed, avvenuta il 20 luglio del 2015, mentre raccoglieva pomodori sotto il sole cocente in località Pittuini, a Nardò.

Si tratta di Mohamed Elsalih, 42enne originario del Sudan, considerato l’intermediario, colui il quale avrebbe reclutato gli immigrati e si sarebbe occupato del loro trasporto nelle campagne.

A invocare la richiesta nei giorni scorsi, è stato il sostituto procuratore generale Giovanni Gagliotta, che ha ritenuto debba essere riformata la pena inflitta per il reato di omicidio colposo (da due anni e mezzo a uno e mezzo) in continuazione con quello di riduzione in schiavitù, per cui furono inflitti 12 anni.

Dopo il magistrato, hanno preso la parola gli avvocati delle parti civili (tra cui Cinzia Vaglio per conto della moglie della vittima) e nella prossima udienza, il 25 gennaio, sarà la volta della difesa dell’imputato, rappresentata dall’avvocata Ivana Quarta e dal collega Giuseppe Sessa, che già in primo grado, in una lunga arringa, aveva cercato di dimostrare la mancanza di prove rispetto al ruolo di caporale attribuito a Elsalih. Nella stessa giornata, la Corte d’Assise d’appello si ritirerà in camera di consiglio per decidere il verdetto.

Oltre al 42enne, il 24 novembre 2022, fu condannato alla stessa pena anche l’imprenditore che nel frattempo è deceduto, Giuseppe Mariano detto “Pippi”, 83 anni, originario di Scorrano, residente a Porto Cesareo, ritenuto a capo dell’azienda agricola per la quale lavorava il malcapitato. Entrambi furono riconosciuti responsabili (di riduzione in schiavitù e omicidio colposo in concorso), poiché secondo le indagini condotte dalla sostituta procuratrice Paola Guglielmi, il decesso poteva essere evitato perché l’uomo soffriva di una grave forma di polmonite che avrebbe potuto e dovuto essere riscontrata. Invece, la malattia, a causa delle temperature elevate e dello sforzo fisico, avrebbe preso il sopravvento tanto da togliergli la vita, stando agli accertamenti svolti in seguito dal medico legale Alberto Tortorella.

La morte di Abdullah Mohammed che non aveva un contratto e non fu mai sottoposto a una visita medica, puntò i riflettori sulla vita nei campi, su tanti lavoratori stranieri sfruttati, costretti a lavorare anche 10-12 ore al giorno, anche in condizioni atmosferiche e climatiche usuranti,  per massimo 50 euro, spesso in nero, senza pause, senza riposo settimanale.

La sentenza di primo grado impose anche un immediato risarcimento del danno alla moglie della vittima per 50mila euro e il resto da liquidarsi in separata sede, anche alle altre parti civili (Flai-Cgil Brindisi e Cgil Lecce, Mutti spa, Conserve Italia spa, e Cidu).

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