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Cronaca

Morì in cella in Messico: 14 dicembre si apre processo

Caso Renda: il 14 il gup Brancato dovrà decidere se rinviare a giudizio agenti di polizia penitenziaria, funzionari ed un giudice per la morte del bancario, abbandonato al suo destino in una cella

LECCE - Dopo tre anni d'attesa, di indagini rese difficili anche dalla distanza fra Italia e Messico e persino il rischio di qualche incidente diplomatico, si aprirà il 14 dicembre prossimo a Lecce il processo per il caso che vede al centro la morte di Simone Renda, impiegato di banca leccese che a soli 34 anni perse la vita nel maggio del 2007 in una cella del carcere di Playa del Carmen, località messicana nella quale era andato in vacanza. Una tragedia segnata dalle circostanze poco chiare per le quali avvennero sia l'arresto del giovane, bloccato da agenti della polizia turistica, sia e soprattutto la sua morte. Al punto tale che per gli imputati, agenti di polizia turistica e penitenziaria, funzionari amministrativi, persino un giudice, nel gennaio dello scorso anno la Procura di Lecce, nel chiudere le indagini premilitari, ipotizzò il reato di omicidio volontario in concorso, riqualificando quello di tortura e atti inumani e degradanti contro la persona. Il fascicolo è in mano al pubblico ministero Angela Rotondano.

Il gup Vincenzo Brancato dovrà dunque decidere il rinvio a giudizio nei confronti di otto persone: Javier Sosa, Gomez Jose Martinez, Pedro May Balam, Cano Arceno Parra, Landeros Luis Alberto Arcos, Cruz Gomez Gomez, Gonzalez Hermila Valero (il giudice qualificatore) ed Enrique Najera Sanchez. E fatto storico è proprio la circostanza che il processo si celebrerà in Italia. Chi verrà eventualmente sottoposto al processo penale, dovrà essere molto probabilmente estradato dal Messico.

La famiglia di Simone Renda è rappresentata dagli avvocati Fabio Valenti e Pasquale Corleto, e in Messico, a muoversi, portando avanti indagini anche difficili, in un clima avvelenato, fu per primo l'avvocato messicano, di chiare origini italiane, Leonardo Tedesco. Tutto il discorso sul processo ai presunti aguzzini di Simone Renda parte proprio dal giorno dell'arresto. Si disse in un primo momento che avrebbe generato scandalo nella "Posada Mariposa", l'albergo nel quale aveva trovato alloggio, ma le motivazioni reali per cui venne rinchiuso in carcere non sono mai state chiarite veramente. Né fu trovato alcun tipo di droga, come s'ipotizzò in un primo momento. Tutta la vicenda dell'albergo è, insomma, ormai passata, quasi un appiglio al quale i presunti responsabili non possono più aggrapparsi. Più semplicemente, sembra che il giovane sia stato fermato per una comune sanzione amministrativa al di fuori dell'albergo, letteralmente rinchiuso in cella e dimenticato dalle 15 di pomeriggio del 1° marzo fino alle 8 del mattino del 3 marzo. Un tempo eterno, in perfetta solitudine.

E quando le porte della cella si riaprirono, era già morto da diverso tempo. Trovato riverso per terra, con una ferita in testa dovuta alla caduta a peso morto. Abbandonato senza le necessarie cure adoperate in situazioni d'emergenza. Renda soffriva di insufficienza epatica. Ed i sintomi di un malore, un infarto miocardico, sarebbero stati ben visibili già all'ingresso in carcere, nel quale può darsi che non abbia neanche ricevuto acqua, nonostante le temperature dei tropici. Grave, in particolare, sembra la posizione del giudice qualificatore (una figura dell'ordinamento messicano), il quale non firmò il suo rilascio, trascorse 36 ore, e non si sarebbe preoccupato delle condizioni di salute del giovane che, se soccorso in tempo, oggi forse sarebbe ancora vivo.

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