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Pd e Udc, è matrimonio che s'ha da fare o meglio di no?

A poche ore dall'assemblea del Partito democratico, dopo le parole dell'Udc Casini, appaiono ridotti al lumicino i margini dell'accordo con lo scudo crociato: ora si torna a "corteggiare" Pellegrino

Sono questi i giorni decisivi per le strategie del centrosinistra leccese in preparazione alla sfida elettorale per il rinnovo del consiglio provinciale di Palazzo Celestini: domani l'attesa assemblea del Pd si riunirà per capire cosa è cambiato in circa due mesi di riflessioni e di accordi ricercati, cioè, da quando il Partito Democratico salentino aveva dato mandato al proprio segretario provinciale di tessere le fila di una trattativa elettorale con l'Udc.

A distanza di qualche tempo da quella scelta e dal compito affidato a Salvatore Capone, e a poche ore dallo scioglimento dei nodi, sembrano mutati decisamente gli scenari. E se fino a qualche giorno fa, molti esponenti del Pd davano per fatta o si dicevano ottimisti sull'accordo con l'Udc, oggi si respira aria di resa. Il centrosinistra, per ora, non incassa il sì dell'Udc: colpa, secondo alcuni della mossa di Adriana Poli Bortone, capace di attirare il consenso dei moderati con il suo movimento per il Sud, che se non ha fatto stringere direttamente alleanze con lo scudo crociato, sembra, però, averlo distolto dall'ipotesi di accordo col Pd.

Le parole di pochi giorni fa del leader Udc, Pier Ferdinando Casini, a Bari sembrano aver spazzato via gli ultimi dubiti in merito: il suo partito sceglie ancora una volta la corsa in solitaria, almeno per ora: la condizione imprescindibile per lasciarsi coinvolgere nel progetto del centrosinistra era la candidatura di un proprio uomo per il dopo Pellegrino, con Salvatore Ruggeri e Luigi Pepe in pole position. La proposta, dunque, o non è arrivata o non è stata condivisa del tutto. Ed ecco che l'Udc si appresta a presentare per sabato i nomi dei propri candidati su tutto il territorio. La trattativa saltata ributta in alto mare il Pd e, con esso, tutto il centrosinistra, costretto a scrivere punto sulla vicenda, per passare a capo e rivedere i propri piani. Sul tavolo degli accordi interni al Pd, dopo la valutazione dell'alleanza con l'Udc, c'era la questione delle primarie, qualora il presidente uscente Giovanni Pellegrino avesse confermato il suo no alla ricandidatura.

E il punto nodale oggi appare proprio questo, perché la gran parte della coalizione crede che il candidato naturale sia proprio il presidente in carica, a cui tutti riconoscono la capacità di aver tenuto insieme un'alleanza ampia e variegata con saggezza salomonica. Senza di lui, il rischio forte di campanilismi e personalismi, dunque, potrebbe riemergere con pericoli di stabilità per la coalizione, che potrebbe persino ridisegnarsi e riconfiguarsi in altro modo. Dalla parte di Pellegrino, ci sarebbero anche i sondaggi elettorali (per quanto di questi tempi possano essere attendibili), che lo vedrebbero come candidato vincente. E, al contrario della tendenza predominante in altre zone italiane, dove le primarie sembrano diventate un meccanismo collaudato, nel Pd leccese sembra leggersi qualche remora, non tanto velata.

Perciò, in queste ore, il Pd starebbe pensando, così come altri partiti della coalizione, di chiedere al presidente un suo ultimo pronunciamento sulla candidatura, facendo pressione perché sia della partita. Pellegrino sarebbe ancora restio per via dell'età, ma soprattutto perché riteneva indispensabile l'accordo con l'Udc, per allargare l'alleanza di governo. Insomma, i giochi sono ancora aperti e di colpi di scena se ne attendono ulteriori. In caso di rifiuto da parte di Pellegrino, l'ipotesi primarie non sarebbe più procrastinabile, anche perché sarebbe complesso ricercare una soluzione di compromesso a tavolino, visto il numero di proposte di candidati possibili: non tutti i partiti del centrosinistra sorridono al meccanismo, ma "a mali estremi, estremi rimedi". Chi, invece, scalpita da tempo per le primarie è Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, rinvigorito dall'asse con Lorenzo Ria: ad oggi, è l'unico pronto ad affrontare la consultazione interna al Pd o alla coalizione; si dovrà cercare, dunque, dei nomi alternativi pronti a contendergli la candidatura per Palazzo Celestini.

Nel centrodestra, per ora tutto sembra tacere, o quasi. Cresce, però, il partito di chi ha visto la mossa dell'ex sindaco di Lecce, Poli Bortone, di dimettersi dal coordinamento regionale di An e di creare un movimento del Sud, non come una fuoriuscita del Pdl, ma piuttosto come un progetto prioritario da portare all'interno del costituente contenitore. Questo lo si potrà comprendere meglio solo nelle prossime settimane. Di certo, a livello più generale, qualcosa scricchiola nel Pdl, se è vero che le tensioni con Forza Italia sulle bozze di statuto potrebbero far slittare il congresso costitutivo addirittura a dopo le Europee. Il quadro del Pdl stesso, dalle indiscrezioni, potrebbe persino cambiare, visto che si fa sempre più largo l'intenzione di creare una federazione di partiti, piuttosto che la fusione originariamente pensata. Le due visioni di costruzione del partito sarebbero davvero troppo differenti, con An che punterebbe all'elezione dei quadri dalla base, con tessere e sezioni sul territorio (un po' sul modello classico della tradizione partica), mentre per Fi si dovrebbe procedere con nomine verticistiche e con la cosiddetta "struttura leggera" (con adesioni on-line o nei gazebo e circoli solo nei capoluoghi di provincia).

Nessuna conferma al momento di queste voci, comunque insistenti, ma è ovvio che il cambio di prospettiva potrà influire anche sulle politiche provinciali e sul territorio. Sarà un caso che il centrodestra, da qualche settimana, sembra aver accantonato la discussione sul nome da proporre a Palazzo Celestini, soprattutto dopo aver a lungo annunciato una candidatura condivisa già prima di Natale? Non è ancora del tutto chiuso il capitolo Garrisi, nome lanciato da An proprio a dicembre, ma vista l'accoglienza fredda dei vertici provinciali azzurri ed il silenzio piombato intorno alla proposta, appare davvero difficile che possa essere una scelta pienamente condivisa. Quel che, invece, appare più probabile è lo sforzo interno ad An di ricucire tra le diverse correnti presenti sul territorio: sarebbe certamente un segno di forza ritrovata e forse potrebbe aiutare ad uscire dalla situazione di momentaneo stallo.

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