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Sabato, 27 Aprile 2024
Rammarico e delusione

Il caregiver non può essere il padre: con la compagna e il figlio appena nato solo per un'ora

Davide, piemontese, e Chiara, la sua compagna di origine salentina, hanno scelto di far nascere il loro primo figlio a Lecce. Ma il reparto di Ostetricia e Ginecologia del “Vito Fazzi” ha un regolamento molto restrittivo che consente, per l'assistenza, la presenza di sole figure femminili

LECCE – La gioia, immensa, di essere diventato padre; il rammarico, profondo, di non poter stare accanto alla propria partner nella fase successiva al parto.

Sono questi i principali sentimenti di Davide, giornalista piemontese in questi giorni alle prese con le “regole di ingaggio” di Ostetricia e Ginecologia del “Vito Fazzi” di Lecce. Poco dopo le 17 del giorno di Ferragosto la sua compagna, Chiara, ha dato alla luce Alessandro, nato dopo taglio cesareo. Proprio le origini di lei - è cresciuta a Soleto - hanno spinto la coppia a far nascere il primogenito nell’ospedale del capoluogo salentino.

All’ingresso del reparto è affissa una sorta di sintesi, datata 17 luglio, delle principali regole vigenti nell’orario delle visite, che va dalle 18 alle 19. Ma un punto, in particolare, è quello che ha colpito il 34enne, laddove si precisa che è consentita la presenza di un solo caregiver “donna”. Con il termine inglese si indica una persona che presta assistenza, che si prende cura di qualcuno, non di un semplice visitatore. Eppure, considerato alla stregua di un visitatore si è sentito il padre, che si chiede: “Quali norme dello stato italiano, quali regolamenti ministeriali, quali defunti protocolli anti Covid impediscono a me, in quanto individuo di sesso maschile, di fare da caregiver post partum alla mia partner in un momento sì di immensa gioia, ma anche di grande fragilità fisica ed emotiva per entrambi i genitori?”.

Questa problematica non riguarda solo Lecce, ma è stata tema di discussione diffusa quando le restrizioni per l’emergenza da Covid hanno imposto una stretta molto forte negli ospedali. Quei tempi, per fortuna, sono alle spalle ma, in ogni caso, già nel marzo del 2022 tutte le società scientifiche che operano nell’area della natalità e le federazioni professionali sanitarie, raccomandavano, tra le altre cose, quanto segue: […] consentire, una volta eseguite le debite verifiche igienico-sanitarie relative al Covid 19, la presenza del partner (o del caregiver) in ospedale per un tempo adeguato, già definito nel singolo reparto prima dell’inizio della pandemia, considerando tuttavia come modello ideale a cui tendere l’apertura 24 ore su 24, sia durante le varie fasi del parto, sia nel post partum, nei settori di degenza congiunta madre-neonato così come nelle terapia intensive neonatali […]” (qui il documento integrale).

Ecco dunque che già nella fase di lenta normalizzazione successiva alle ondate epidemiche, gli addetti ai lavori avevano indicato la strada alle direzioni ospedaliere e ai reparti interessati. Resta da capire, ora, se il regolamento del nosocomio leccese risenta ancora oggi di quell’emergenza o sia stato sempre così restrittivo, ma è probabilmente opportuna una riflessione sull’immediato futuro. Per il momento è chiaro che il caregiver può essere solo donna e ciò per il giovane padre “rappresenta un’arbitraria disparità di trattamento rispetto ad altri ospedali italiani, un’odiosa discriminazione di genere al contrario, una violenza contro gli uomini che rivela una concezione della maternità vecchia di almeno mezzo secolo”. In attesa di ulteriori delucidazioni, una deduzione è stata fatta: “Il prossimo figlio nascerà da un’altra parte”.

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