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Rischio maremoti nel Salento, direttore di ricerca Ingv: “A ottobre scorso uno tsunami"

Sono trascorsi 276 anni da un violento terremoto che “scosse” la comunità del Tacco. L’allerta resta alta. Ne abbiamo parlato con lo scienziato Alessandro Amato

LECCE – Sono trascorsi 276 anni da un disastroso terremoto che colpì l’area salentina. Era il 20 febbraio del 1743 e tre movimenti tellurici scossero il territorio locale lasciando “prove” visibili ancora oggi. Dove? Nella basilica di Santa Croce di Lecce, per esempio. Si tratta, fortunatamente, di “tracce” artistiche, ai piedi della figura di Sant’Oronzo raffigurato nel dipinto: vi è infatti un cartiglio che riporta le grazie ricevute dai leccesi, rimasti incolumi dopo quelle violente scosse.

Ne ha parlato in un interessante articolo, pubblicato tempo addietro sul sito dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, la scienziata napoletana Maddalena De Lucia che riporta, appunto, la vicenda di quel terremoto con tutti gli effetti “collaterali” che ne scaturirono. Non si è trattato di certo dell’unica “sorpresa geofisica” alla quale la comunità del Tacco ha assistito. Anzi. Nell’immaginario comune vi è la percezione che i terremoti siano aumentati. Le stesse testate giornalistiche si sono ritrovate frequentemente, negli ultimi anni, a dover scrivere di sismi al largo delle coste greche, con riverberi e scosse avvertiti fin nel Salento. Il 26 ottobre scorso, per esempio, il Salento è stato lambito da un allarme tsunami del quale, fortunatamente, nessuno ha dovuto pagare le conseguenze.

 Ne abbiamo pertanto parlato col sismologo Alessandro Amato (in foto)ale-amato-2017-2, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, in passato anche direttore del Centro nazionale terremoti e membro della Commissione grandi rischi.

Professor Amato, vi sono elementi per poter individuare, seppur approssimativamente, il periodo in cui il Salento avvertirà le prossime scosse?

“No, purtroppo non è possibile oggi sapere in anticipo quando accadrà il prossimo evento sismico, né del tipo citato né in generale in altre aree sismiche in Italia e nel mondo. Quello che si può fare oggi, in caso di terremoto tsunami-genico (ossia in grado di generare un maremoto), è di allertare le zone che verranno colpite dal maremoto, una volta rilevato il terremoto. Si tratta di un sistema di Early Warning (allerta rapida). Se l'epicentro è distante dalla zona di interesse, ci può essere il tempo per far giungere l'allerta ai cittadini alcuni minuti prima dell'arrivo della prima onda di tsunami. Dal 2017 è operativo in Italia il Centro allerta tsunami dell’Ingv, che fa parte del sistema di allertamento nazionale coordinato dal Dipartimento di protezione civile con Ingv e Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ndr)”.

Come mai in questa porzione meridionale della Puglia ci pare di assistere sempre più spesso a piccole scosse, quasi sempre provenienti da terremoti con epicentro nel Mar Egeo?

“La Puglia è molto vicina a diverse aree sismiche importanti del Mediterraneo, come quelle delle isole Ioniche, dell'arco ellenico, dei Paesi balcanici. Inoltre la placca Adriatica, di cui il blocco apulo fa parte, ha delle caratteristiche tali da permettere una propagazione molto efficiente delle onde sismiche. Questi due fatti spiegano i frequenti risentimenti in Puglia di terremoti anche lontani nella regione. La regione ha poi una sua pericolosità sismica che le deriva da alcuni importanti terremoti del passato, sia nella regione del Gargano e della Capitanata (come quello del 1627), sia nel Salento (quello del 1743, appunto). Terremoti piuttosto rari, ma comunque pericolosi”.

Si parla del Salento come di una terra ad alto rischio tsunami...

“Alcune delle aree sismiche menzionate (Grecia, Albania, Montenegro, ecc.) sono costituite da sistemi di faglie ubicate in mare o lungo le coste. Il movimento di queste faglie durante un terremoto può produrre spostamenti del fondale marino, sia nello Ionio che in Adriatico, e quindi maremoti”.

Quali potrebbero essere i prossimi grandi "geoeventi” con potenziali ripercussioni nell’estremo lembo d'Italia?

“I terremoti si ripetono nelle zone dove sono già avvenuti. Come accennato sopra, ci sono alcune aree della Puglia che hanno avuto eventi sismici importanti nei passati secoli, e possiamo quindi ritenere che ci saranno in futuro. Per quanto riguarda i maremoti, la regione Puglia, come la Calabria ionica e la Sicilia orientale, sono tra le aree a maggiore pericolosità per la presenza di sorgenti di possibili tsunami sia vicine che lontane. Pochi sanno che il 26 ottobre 2018 uno tsunami, fortunatamente molto piccolo, ha interessato le coste pugliesi, a seguito di un terremoto di magnitudo 6.8 avvenuto nell’isola di Zante, una delle isole greche del Mar Ionio. Il terremoto ha avuto un meccanismo trascorrente, ossia il movimento relativo tra i due blocchi della faglia è stato principalmente orizzontale, e questo ha fatto sì che non si generasse uno tsunami significativo. A Otranto e in altri mareografi dell’Italia meridionale, tuttavia, si sono riconosciute le anomalie del livello del mare dovute proprio al maremoto innescato dal terremoto. Va anche ricordato che onde di tsunami alte soltanto mezzo metro o meno, per la loro energia e velocità, sono in grado di trascinare via delle persone adulte, con il rischio di annegare. È errato quindi, in caso di un’allerta tsunami anche di basso grado, pensare di ignorare il pericolo. Le onde di maremoto sono ben altra cosa rispetto a un’onda durante una mareggiata”.

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