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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Morì di leucemia dopo una diagnosi errata, quattro medici a giudizio

Si va a processo per il caso della donna di Guagnano alla quale fu diagnosticato un tumore, che si scoprì essere un innocuo angioma, quando ormai aveva già subito una terapia per i legali della famiglia giudicata invasiva e fatale

 

LECCE - Quello di Bruna Perrone, la donna di Guagnano deceduta a soli 58 anni nel giugno del 2008, è un presunto caso di malasanità che ha dei risvolti davvero singolari. La signora Bruno, infatti, morì di leucemia, forse anche per cure sbagliate, a causa di una diagnosi errata di cancro al fegato. Un tumore, quest'ultimo, inesistente. Un clamoroso errore, perché in realtà si trattava, come accertato, di un innocuo angioma gigante, una massa benigna di 18 centimetri. La donna fu quindi sottoposta a una lunga serie di cure ed esami particolarmente invasivi.
A giudizio, per questa triste vicenda, sono finiti quattro medici dell'ospedale di Nardò. L'udienza preliminare si è svolta questa mattina dinanzi al gup Antonia Martalò. Dario Muci, oncologo, e Manrico Delli Noci, radiologo, sono stati rinviati a giudizio e il processo nei loro confronti si aprirà il prossimo 13 giugno dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Nardò. Claudio Nuzzo e Roberta Montefrancesco (entrambi radiologi) hanno scelto, invece, di essere giudicato con il rito abbreviato, che si terrà il prossimo 17 maggio. L'accusa nei loro confronti è di omicidio colposo "per aver provocato, con colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, la morte di Bruna Perrone".  
Il caso di Bruna Perrone fu portato alla luce sul finire del 2009 dai legali dei parenti della vittima, gli avvocati Rocco Vincenti e Stefano Prontera, che si sono costituti parte civile. Nella scorsa udienza i legali hanno chiesto e ottenuto la citazione per responsabilità civile dell'Asl di Lecce. 
Il calvario della donna iniziò nell'estate del 2004, quando la donna accusò alcuni fastidi specie sedendosi o compiendo alcuni movimenti. Una pressione, proprio all'altezza dell'addome. Il 14 luglio di quell'anno, su indicazione del suo medico curante, si sottopose a un'ecografia presso uno studio radiologico. Le lastre indicarono "la presenza di una neoformazione del diametro massimo superiore a centimetri 18". Le furono consigliate ulteriori analisi, con una Tac con mezzo di contrasto. Già il giorno successivo, dal laboratorio di patologia clinica dell'ospedale di Campi Salentina, arrivò però una sorta di rassicurazione: le analisi del sangue presentavano valori nella norma.
Proprio per avere certezze definitive, il 20 luglio la signora Perrone si sottopose ad una Tac all'addome superiore ed inferiore. Diagnosi nefasta: "Vasto epatocarcinoma con metastatizzazioni - manifestazioni nodulari iperdense di vario volume - metastatizzazioni ivi concomitanti". In parole povere, cancro al fegato, con metastasi.
Il 29 luglio del 2004 la donna si recò presso il presidio ospedaliero di Nardò. Dove fu ribadita una diagnosi di carcinoma epatocellulare. Ma, come ravvisato dagli avvocati, presso il "Sambiasi" la paziente non sarebbe stata sottoposta ad altre analisi per approfondire il caso. Di fatto, furono avviate subito le cure. Iniziò un calvario, poiché fu sottoposta al cosiddetto "protocollo mitoxantrone 1-8-21", trattamento con cadenza bisettimanale. Si andò avanti così fino al 13 aprile del 2007.
Periodicamente, la paziente sostenne anche esami radiologici, il primo dei quali è datato 3 marzo del 2005, ma la diagnosi non cambiò mai per lungo tempo. Il 23 settembre dello stesso anno, un'altra Tac. Referto: "La massa epatica che interessa pressoché completamente il lobo destro appare invariata per dimensioni e caratteristiche sensitometriche rispetto al precedente esame del 3 marzo 2005". Vale a dire, che la chemioterapia non stava generando effetti. Il presunto tumore non regrediva.
Altri due esami furono svolti il 18 maggio del 2006 e il 13 settembre dello steso anno. Ma solo il 13 aprile del 2007 un medico, eseguendo un'ulteriore Tac, si accorse che forse si era in presenza di un errore. Per la prima volta si sostenne la tesi di un "angioma gigante del lobo epatico di destra e di piccoli angiomi nel lobo epatico di sinistra". La conferma definitiva, grazie ad altri due esami radiologici, il primo del 25 settembre 2007, presso l'unità operativa di neuroradiologia del "Vito Fazzi" di Lecce, il secondo nel reparto di radiologia dell'ospedale di Nardò. "Angioma gigante" fu il referto ultimo. Errore di diagnosi e quindi terapia sbagliata. Ma nel frattempo era insorta una "citopenia del sangue periferico", e la causa potrebbe essere proprio l'esposizione al bombardamento chemioterapico. Un'ipotesi basata sulle conoscenze mediche attuali e sulle statistiche, più che una certezza, almeno per il momento.
Nel giugno del 2008, la signora Perrone decise di rivolgersi, per un consulto, alla clinica ematologica del policlinico San Matteo di Pavia. La diagnosi fu tremenda: "Sindrome mielodisplastica tipo anemia refrattaria con eccesso di Blasti". Si decise di operare, con un trapianto del midollo, ma il disperato intervento non servì a strappare la signora Perrone dalla morte, a causa di una leucemia mieloide acuta e a disturbi del sistema cardiocircolatorio.  Saranno ora i due processi a chiarire eventuali responsabilità e negliggenze, in una storia complessa e dai risvolti tragici.
 

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