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Domenica, 28 Aprile 2024
Il 18 e 19 marzo / Giurdignano

Tavole di San Giuseppe, riti antichi tra devozione e tradizione popolare

Nel Salento, da Otranto a Giurdignano, da Uggiano a Minervino, da Giuggianello a Poggiardo, il 18 e il 19 marzo si rinnova il culto legato alla figura del padre putativo di Cristo e che si poggia su pratiche rigorose dentro un ricco cerimoniale

GIURDIGNANO – Tradizione popolare e devozione dentro il rito antico e rigoroso: è tempo nel Salento delle "Tavole di San Giuseppe", che tra oggi 18 e domani il 19 marzo, in occasione della festa religiosa del padre putativo di Cristo, si rinnova in molti comuni dell'hinterland di Otranto ma in particolare in realtà come Giurdignano, l’epicentro, Uggiano la Chiesa, Minervino di Lecce, Giuggianello, Otranto, Palmariggi, Poggiardo, Cocumola, Cerfignano e San Cassiano. Oltre al Salento, tracce di questa tradizione si trovano in alcuni comuni della Sicilia e della Lucania.

Si tratta di una cerimonia antichissima che alcuni fanno risalire all'epoca medioevale quando i nobili locali offrivano dei banchetti ricchi di pietanze ai più bisognosi. Col tempo si è evoluta divenendo un atto di devozione nei confronti di San Giuseppe.

In cosa consiste. In casa di ogni devoto del Santo si preparano tavole ricche di pietanze, alcune delle quali legate esclusivamente a questa ricorrenza. Il 19 marzo, intorno a mezzogiorno, si avvia la cerimonia che si conclude con il dono dei piatti ai "santi", ovvero persone invitate dal padrone di casa, che organizza la tavola (o in dialetto “taula”), e che ricoprono il ruolo di una delle tredici figure sacrali previste nel cerimoniale.

Chi prepara la tavola. In genere, si tratta di persone che hanno ricevuto una grazia da San Giuseppe e che con questo rito, compiuto per tutta la vita, danno compimento a un voto fatto.

I “Santi”. Il devoto alcuni giorni prima della celebrazione individua le persone che dovranno poi ricoprire il ruolo di un santo. Le tavole, a seconda del voto espresso, possono essere composte da un minimo di tre fino ad un massimo di tredici santi; non possono però essere in numero pari. Le tre figure “sacre” minime, presenti quindi in ogni tavola, sono la Vergine Maria (ruolo quasi sempre ricoperto da una giovane), Gesù bambino (solitamente un bambino o un giovane) e San Giuseppe (spesso una persona anziana). A questi si aggiungono, per la tavola da cinque elementi, Sant'Anna, e San Gioacchino; a quella da sette Sant'Elisabetta e San Giovanni; a quella da nove San Zaccaria e Santa Maria Maddalena; da undici Santa Caterina e San Tommaso; infine, a quella da tredici, San Pietro e Sant'Agnese.

La tavola. Nei giorni che precedono la celebrazione, nelle case domina la frenesia dei preparativi. La tavola deve essere curata nei minimi dettagli ed imbandita con i prodotti della terra e i piatti tipici della tradizione contadina. Tra le varie pietanze un ruolo importante è ricoperto da un grosso pane di forma circolare e vuoto al centro. Sulla crosta riporta dei simboli che identificano il “santo” a cui è destinato il pane; le tre sfere simboleggiano Gesù bambino, il rosario la vergine Maria, il bastone San Giuseppe.

Il rito. Il pomeriggio antecedente le celebrazioni, un sacerdote benedice le tavole. Il 19 marzo, a mezzogiorno, subito dopo la fine della celebrazione religiosa in chiesa, i vari “commensali” si riuniscono intorno alla Tavola, dove campeggia l'effige di San Giuseppe e danno inizio al rito. Il personaggio di San Giuseppe detta i tempi: inizia con l'assaggio di una pietanza accompagnata dalla preghiera e l‘espressione “San Giuseppe te l’aggia nsettu” (”San Giuseppe gradisca il tuo sacrificio”). Una volta terminato tocca agli altri commensali procedere con gli assaggi, fino a che chi guida non batte per tre volte la forchetta sul suo piatto; i commensali interrompono il pasto e iniziano la preghiera. Quindi, un devoto introduce una nuova pietanza ed il ciclo si ripete. Tutto è scandito dalla recita di orazioni e dal rosario; i partecipanti, commensali e presenti sono guidati da una voce narrante.

I piatti sono tipici della cucina contadina, dai più comuni a quelli stabiliti per rito dalla tradizione in specifiche ricorrenze liturgico-popolari, ed essendo periodo quaresimale sono banditi formaggi e carni. Le pietanze sono pampasciuni ndilissati (lampascioni o cipollette selvatiche), cicore lesse (verdura bollita, solitamente cavolfiori o cavoli), ciciri in pignata (una zuppa di ceci), vermiceddhri cu li ciciri (pasta con i ceci detta anche massa, massa e ciceri o ciciri e tria), maccarruni cu lu miele (bucatini al miele con mollica di pane fritta), stoccapesce cu li spunzali (stocafisso con i porri o pesce fritto), fritti col miele (pittule, purciddhruzzi o cartellate), finocchi. Si aggiunge il pane votivo, detto di San Giuseppe, che i devoti distribuiscono insieme alla massa ai fedeli all’uscita. La bevanda presente sulla tavola è il vino.

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