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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'analisi

Tensioni in maggioranza, rischio di logorio e l’onda lunga da Roma

Per “Progetto Città” quella di Salvemini è stata un’autocandidatura. Riaffiora così la problematicità di un rapporto che dopo un anno e mezzo dalla formazione del gruppo consiliare è tangibile. Intanto il centrodestra ha preso in mano le redini del Paese

LECCE – Nella maggioranza di Palazzo Carafa i rapporti non sono idilliaci, per usare un eufemismo: è un poco la storia di tutte le coalizioni che poi fanno fatica a diventare amalgama politico, perché diverse sono le sensibilità, le storie, le aspettative e le rivendicazioni.

La faticosa convivenza tra partiti e gruppi di derivazione tradizionale e movimenti di ispirazione civica è un elemento che influisce sugli equilibri e, soprattutto, sugli umori. Non accade solo a Lecce, ma è una condizione abbastanza comune in un’epoca di liquidità politica e di difficoltà di rappresentanza delle esigenze dei cittadini da parte dei soggetti che vengono dalla lunga storia del Novecento.

Nello specifico leccese, dove nel 2019 è caduta al primo turno la roccaforte del centrodestra – dopo il colpo già subito nel 2017 al ballottaggio ma non affondato del tutto per la cosiddetta anatra zoppa -, sembra però farsi largo una cupio dissolvi che ricorda gli ultimi due anni della lunga stagione amministrativa di Paolo Perrone, quando tutti i suoi principali assessori ritenevano di aver i titoli per rivendicarne la successione politica e l’infelice conclusione della candidatura della città a Capitale europea della cultura segnava di fatto la fine di un’esperienza di lungo respiro che veniva dal precedente decennio di Adriana Poli Bortone, dalla quale pure Perrone prese più volte le distanze (a partire dalla vicenda del filobus).

Nell’attuale maggioranza c’è da un anno e mezzo una chiara tensione tra la componente di Progetto Città (gruppo sorto nell'aprile del 2021 e integrato da Patti, Mignone, Giannotta e Citraro) e la giunta, in particolare il sindaco Salvemini e alcuni assessori. Non ci sono stati incidenti sui capisaldi del programma amministrativo, che viene da un mandato elettorale cui diventa complicato sottrarsi, ma le occasioni per distinguo, precisazioni, prese di distanza e stoccate non sono mai mancate.

L’ultima è quella che segue la diffusione del rapporto di Legambiente “Ecosistema Urbano 2022” (che in realtà si riferisce a dati del 2021 e per qualche indicatore anche di anni precedenti). La collocazione di Lecce è al 75esimo posto su 105 su scala nazionale, in discesa rispetto alla graduatoria dell’anno precedente, ma comunque prima di città come Verona, Rovigo, Grosseto, Massa (e seconda, dietro Taranto, in ambito regionale). Va precisato che il rapporto considera indicatori che afferiscono alle matrici ambientali (per esempio presenza di inquinanti, piste ciclabili, verde urbano, energie rinnovabili, dispersione dell’acqua) e non può essere quindi considerata un’indagine sulla qualità della vita nel suo complesso sebbene tratti di questioni sicuramente centrali.

In una nota stampa Progetto Città, dopo aver accennato ad alcune delle performance peggiori (solare termico e fotovoltaico sugli edifici pubblici, rapporto tra residenti e verde, aumento del PM 10) in un contesto in cui risalta in positivo solo l’aumento della percentuale di raccolta differenziata, finisce per porre sul tavolo una questione squisitamente politica.

“Continuano a giungere notizie che ci preoccupano e delle quali già a suo tempo ci siamo fatti carico, ricevendo in risposta, ad oggi, solo una autocandidatura, in ordine alle quale ci siamo astenuti dal commentare non per disinteresse ma solo perché, da qui alla fine del mandato, riteniamo che ogni impegno vada profuso sulla nostra città, sui nostri concittadini, ponendo al centro del dibattito politico i temi che riguardano la comunità, l’unico investimento sicuro sul futuro che intendiamo caldeggiare. Il futuro personale dei singoli ci interessa poco: la Politica che conosciamo è fatta di ‘noi’ e non di ‘io’, augurandoci che passi alla storia non il singolo individuo ma finalmente una città più verde, sostenibile, accogliente con al centro il cittadino, l’ecosistema urbano e l’erogazione di servizi, che abbia Via Manzoni come modello e non sprechi il 25% dell’acqua che circola nella sua rete”.

Il riferimento di questo passaggio è alla recente dichiarazione di Salvemini di essere disponibili a ricandidarsi nel 2024, secondo quella consuetudine per cui l’amministrazione che termina un mandato si sottopone al giudizio della cittadinanza. L’annuncio ha avuto un effetto di spiazzamento e, infatti, le reazioni sono state tiepide se non fredde in alcuni settori della maggioranza.

I mesi a venire diranno se lo schieramento che attualmente governa la città troverà il modo di assorbire le frizioni e ritrovare unità di intenti in vista di una campagna elettorale che sarà molto diversa da quella del 2019: il centrodestra, infatti, è tornato alla ribalta nazionale con una leadership forte e nel governo di Giorgia Meloni ci sono due storici protagonisti delle stagioni politiche leccesi e salentine, Raffaele Fitto come ministro e Alfredo Mantovano nel ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che, di fatto, vale più di molti dicasteri. Non lo si può ignorare, il quadro generale è questo.

A livello locale il centrodestra non sta facendo molto per vincere, essendo ancora molto attardato nel processo di riorganizzazione che avrebbe dovuto avviare già nel 2017 e ancor più dopo il 2019. È evidente, però, che l’onda lunga da Roma potrebbe arrivare a Lecce e risolvere in un sol colpo molti imbarazzi. Di contro, la vera questione non sembra essere, nel campo civico e progressista, la candidatura di un sindaco uscente, quanto la tenuta di un'intera classe dirigente che quell’esperienza di centrodestra l’ha traumaticamente interrotta, diventando un caso nazionale e dando voce a una parte di città che fino ad allora si era sentita ai margini.

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