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Sabato, 27 Aprile 2024
Una riflessione

Corvino e l’ossessione dei social: il diritto di sognare e il dovere di tutti di capirsi

Nella presentazione di Luca Gotti sono riemersi molti temi tipici dell’ambiente giallorosso: i problemi di comunicazione, la difficile convivenza tra aspettative e realtà. Fare calcio con i conti in ordine è faticoso, ma i tifosi non sono commercialisti

LECCE - La presentazione di Luca Gotti come nuovo allenatore del Lecce meritava di vivere di luce propria: lo richiedeva il profilo stesso del personaggio, atipico rispetto alla media sia per approccio concettuale al calcio, sia per le doti comunicative e di chiarezza espositiva. 

Lo richiedeva anche la situazione di classifica, complicatasi dopo un periodo avaro di risultati positivi fino alla sconfitta interna con il Verona di domenica scorsa e a tutto quello che ha comportato con la testata di D’Aversa a Henry e l’inevitabile esonero del tecnico deciso dal club. Abbiamo scelto quindi, come LeccePrima, di concentrarci sul profilo dell'ultimo arrivato e sulle sue prime dichiarazioni.

Mi sono, invece, preso qualche ora in più del solito per elaborare l’altra parte della conferenza stampa, la prima, quella introduttiva affidata al direttore dell’area tecnica, Pantaleo Corvino. Poco meno di 20 minuti, quindi decisamente più breve del solito, ma particolarmente densa di spunti e di “acuti”, declinati talvolta nella maniera che gli è propria, quella per cui l’istinto viscerale prende il sopravvento sull’opportunità di rimanere entro certi canoni stilistici.

Corvino e i social

Una delle cose che mi ha colpito di più è constatare l’impatto generato dalle reazioni sui social. Che il direttore probabilmente non usa in prima persona, ma dei quali gli viene evidentemente riferito tutto, tanto da farne un’ossessione. Ma in un Paese dove si nasce allenatori di calcio prima ancora di ricevere il nome di battesimo era fin troppo prevedibile che la “democratizzazione” del dibattito intorno al pallone, dovuta all’accessibilità praticamente universale di internet e dispositivi, avrebbe generato delle derive pericolose anche perché è evidente che i momenti negativi di una squadra alimentano interazioni di un certo tipo, di solito sfoghi, talvolta insulti e provocazioni.

Ma lo sanno tutti coloro che si devono assumere, volenti o nolenti, le responsabilità di una scelta che ha ricadute su un interesse pubblico (e le sorti di una squadra di calcio sono certamente una questione di interesse pubblico): il tritacarne social è uno dei prezzi da pagare dell’era contemporanea. Un giorno sei sulla cresta dell’onda, il giorno dopo inizi ad affogare: “Palo dentro, palo fuori” direbbe mister Gotti. C’è sempre qualcuno pronto ad alzare la mano, a dirti come avresti dovuto fare le cose. È così che funziona, bisogna conviverci senza avere la mania del consenso, dell’approvazione acritica a aprioristica. Se serve, bisogna avere il coraggio delle “decisioni impopolari, anche solitarie”, sempre per usare le parole di Gotti.

Il direttore Corvino, che è persona di esperienza solida e di grande competenza – aspetto che nemmeno il più accanito dei suoi detrattori gli può sminuire – potrebbe rendersi più immune dagli effetti degli umori virtuali e lasciare a quei “cinquanta, cento che si masturbano” il piacere di dedicarsi all’onanismo (chi non ha peccato, scagli la prima pietra). Il punto vero è: sono davvero soltanto cinquanta o cento o i conti non tornano?

Corvino e la comunicazione

E qui passo al secondo punto di questa modesta riflessione: esiste oggettivamente un tema di linearità della comunicazione nel rapporto dialettico tra la stanza dei bottoni e gli utenti in sala d’attesa. La narrazione della finestra di mercato di gennaio, fatta all’indomani della meravigliosa vittoria con la Fiorentina, è abbastanza utile in questo senso.

Dal punto di vista tecnico il concetto emerso in quella sede, nella quale c’era anche il presidente Saverio Sticchi Damiani, è stato che non avrebbero giovato dei nuovi inserimenti tanto per fare numero, perché la squadra appariva coerente per com’era stata pensata (nonostante la cessione di uno esperto e ben calato nell’ambiente come Strefezza e l’arrivo di un giovane Pierotti da un calcio molto diverso dal nostro) e tanto valida da tradursi in una stima di almeno cento milioni di euro di valore. Non è stato detto con sufficiente chiarezza – se non ieri, ma a latte versato – che le cifre che il Lecce si è visto richiedere per acquisti, ma anche per semplici ingaggi legati a prestiti temporanei, sono stati ritenuti fuori dalla portata del club.

Sono state parole di chiarimento, in qualche modo, perché a me era rimasto il dubbio che non si fosse fatto tutto il possibile per cercare un centrocampista di maggiore qualità e un centrale difensivo, come se ci fosse stato un errore di presunzione da parte dell'area tecnica: venuta meno la possibiltà di prendere De Witt, l'impressione è che si fossero tirati i remi in barca. Eppure già in quell’occasione, il 5 febbraio, c’erano tutte le premesse per esplicitare ciò che invece è rimasto un po’ troppo tra le righe.

La dimensione del Lecce

Tutti i tifosi del Lecce, del resto, oramai sanno che le capacità di spesa del club sono disciplinate dal mandato, che parte dalla proprietà, di tenere il bilancio nel solco della legalità, innanzitutto, e poi della sostenibilità. La società infatti, ha fatto di tutto per rimettersi in sesto dopo l’emorragia da Covid, perché non vuole indebitarsi, perché vuole superare tutte le ispezioni delle autorità calcistiche con il massimo o quasi dei voti (come di recente accaduto con la Covisoc, la commissione di vigilanza sulle società di calcio).

Solo in questo modo ci si può garantire una continuità sportiva non avendo alle spalle fondi, sceicchi, eccetera eccetera: lo ha detto lo stesso presidente quando ha parlato di eventuale retrocessione come di “un incidente di percorso e non come una tragedia”, lo ha ripetuto ieri il direttore sportivo dichiarando che l’ambiente deve imparare a misurarsi con la “cultura della caduta, perché solo così ci si rialza”.

Sono tutte cose lodevoli, almeno dal mio punto di vista perché, a dirla tutta, preferisco un Lecce piccolo e pulito a una squadra gravata da debiti di decine, quando non di centinaia di milioni di euro (come le cosiddette “strisciate”), che dovrebbe essere proprio esclusa dal campionato, ma non si può fare (e non si vuole fare) perché altrimenti perderebbe di valore tutto il prodotto Serie A e tutto il business ad esso legato. Le regole d’ingaggio del calcio moderno, lo sappiamo, sono queste ed è difficile salvare la pelle quando al tavolo tutti o quasi barano, almeno un po'.

I tifosi non sono commercialisti

In questo scenario molto razionale l’obiezione per cui i tifosi non sono commercialisti (devo questa espressione molto felice a un commento sui social) ha suo fondamento e va rispettata perché nell’approccio passionale a uno sport come il calcio, per sua natura estremamente popolare, il diritto di sognare non può essere negato a nessuno. E se qualcuno finisce per straparlare, fa parte del gioco. Ce lo vedete un padre che porta i figli allo stadio dicendo loro: “Vedete, oggi ci faranno un mazzo così ma la Covisoc ci ha fatto i complimenti”? Io no, anzi, vedo un figlio che risponde: “Papà vai tu ché io i compiti di matematica li ho già fatti”.

Insomma, ci sono diversi punti di vista in ballo, tante emozioni e qualche pregiudizio, ed è la loro sintesi che spesso orienta se non determina i risultati sportivi. Il punto di equilibrio tra testa e cuore non è facile e bisogna mettere in conto esaltazioni, contestazioni, momenti facili e momenti complicati. La differenza, spesso, la fa il modo di vivere le cose: preoccuparsi meno dei social e più delle persone, sforzarsi di essere sempre trasparenti (anche a costo di passare per i “poveri” del calcio), ammettere ogni tanto l’autocritica rispetto a scelte che non convincono, sforzarsi di capire le ragioni altrui, potrebbero essere tutti atteggiamenti utili a rimettere in sintonia la piazza con il club e con la squadra che ora più che mai ha bisogno di essere portata oltre i suoi limiti. Perché di limiti ne ha e sono venuti nel tempo tutti fuori: se qualcuno si è convinto che così non fosse, è chiaro che ha preso un grosso abbaglio. Non ci sono amici o nemici, c'è solo il Lecce e noialtri siamo tutti di passaggio, tutti.

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