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Lunedì, 29 Aprile 2024
A confronto con i protagonisti

Attraverso il Salento: gli olivicoltori che tengono testa alla Xylella

Non hanno voluto espiantare gli ulivi malati e col tempo, facendo ricorso alle buone pratiche agronomiche e a un detergente naturale, hanno ripreso a produrre, tra sollievo e fiducia

LECCE – Come in molti altri punti della città, anche davanti alla questura di Lecce, nello spazio verde interno alla rotatoria che smista il flusso dei veicoli, tempo addietro furono messi a dimora alcuni alberi di ulivo. Icona del territorio, anche nel paesaggio urbano gli alberi facevano la loro figura. Poi venne la Xylella e le piante iniziarono a perdere il loro aspetto consueto fino a ridursi, in certi casi, in scheletri. C’è un però, ma sarà più chiaro al termine dell’articolo.

La batteriosi, intanto, era già diffuso in quasi tutto il Salento centro meridionale e nel dibattito pubblico molto tempo era stato consumato a disquisire se il flagello fosse stato portato da qualche multinazionale intenzionata a soppiantare il patrimonio arboreo esistente con organismi geneticamente modificati oppure magari dagli extraterrestri.

Nel concreto della quotidianità il sistema produttivo olivicolo, già stressato da un regime di concorrenza spietata, si sgonfiava e le associazioni di categoria lanciavano appelli a ripetizione per interventi urgenti. La politica però brancolava nel buio, la strategia delle eradicazioni incontrava una certa resistenza di tipo sentimentale e anche, a un certo punto, la diffidenza della magistratura, e i tempi della scienza mal si conciliavano con quelli dell’urgenza delle ragioni economiche: il settore chiedeva misure e sostegni immediati, le risposte tardavano ad arrivare.

Da subito un gran parlare s’è fatto di ancestrali rimedi per liberare le piante dal mostro che le stava consumando da dentro e così, alle sistematiche scomuniche dell’apparato burocratico istituzionale verso questa o quella iniziativa, faceva da contraltare un diffuso sentimento antiscientifico (che poi si sarebbe visto anche nella stagione del Covid): “la Xylella an capu la teniti” era una frase piuttosto di moda. Mentre andava in scena una guerra ideologica, gli oliveti sono stati progressivamente abbandonati, soprattutto da parte di una piccola proprietà già piuttosto assente in fatto di dedizione alle buone pratiche agricole, e gli alberi sono morti, a milioni. Ché poi, bisogna dirsele le cose a un certo punto: per alcuni avere un uliveto faceva semplicemente rima con il beneficio delle integrazioni riconosciute alla filiera.

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Con l’intervento delle istituzioni europee si sono aperti i primi consistenti rubinetti per il ristoro e quei flussi oggi scorrono ancora sotto forma di incentivi al reimpianto di specie classificate come resistenti al batterio. “Li sordi stannu addhai, allu fai e sfai” (il giro di soldi sta nel fare e disfare), ci dirà uno degli olivicoltori che, utilizzando un detergente bioattivo naturale, “NuovOlivo” (regolarmente autorizzato e di libera vendita non rientrando tra i fitofarmaci), almeno per il momento ha invertito una rotta che sembrava irreversibile: da una produzione in rapido calo fino a ridursi al lumicino, si sta tornando a livelli non molto distanti da quelli consueti, quando la Xylella ancora non si sapeva cosa fosse.

Di questo preparato, del suo ideatore, Luigi Botrugno, e delle peripezie che ne sono derivate su questa testata si è dato ampio conto. Quel che preme, oggi, è un aggiornamento di quanto raccontato nel febbraio scorso. Siamo così tornati a parlare con quei piccoli produttori che avevano manifestato un evidente sollievo nel constatare una sostanziale ripresa del raccolto e ne abbiamo incontrati anche di altri. Da Parabita a Monteroni di Lecce, passando dalla zona tra Cursi e Maglie. Il minimo comun denominatore è lo stato vegetativo, ben apprezzabile in tutte le piante, oltre alla capacità produttiva.

In agro di Cursi Enzo usa il detergente naturale dalla primavera del 2021. Ricorda il 2017/18 come l’ultima buona annata, alla quale ne erano succedute due di quasi fermo. Ci tiene a dire che quest’anno ha notato addirittura un rapporto più favorevole tra fioritura e fruttificazione, nonostante un’estate lunga e arida che, combinata con l’azione otturante del batterio nei vasi xilematici degli alberi, avrebbe dovuto inibire la vegetazione delle piante di Ogliarola e Cellina. La produzione è stata buona e l’acidità dell’olio si è attestata a quattro decimali, ampiamente nel perimetro che definisce l’olio come extravergine: “Lo puoi bere come un succo di frutta”, ci dice.

Poco distante, nei dintorni di Maglie in direzione ovest, Pippi ci accoglie con lo sguardo compiaciuto: anche quest’anno il raccolto è stato soddisfacente e tutti i suoi 80 alberi sono una specie di ricamo a mano, tanto sono curati. Poi ci sono le giovani piante messe a dimora in un fazzoletto del fondo, quelle delle varietà resistenti e per questo utilizzate per il reimpianto. La novità è che anche per loro l’esperto olivicoltore fa ricorso al trattamento con il detergente naturale, per sostenerne la crescita.

Diversi chilometri più a sud, in agro di Parabita, un medico in pensione ci accompagna nella sua proprietà: i suoi ulivi, da anni in condizioni molto difficili, hanno ripreso progressivamente vigore con il protocollo NuovOlivo. L’olio che se ne ricava, di ottima fattura e quindi costoso, viene imbottigliato e venduto a clienti selezionati. Risalendo la penisola salentina finiamo a Monteroni di Lecce, in un’azienda che sorge a ridosso della ferrovia dove trattamento è in corso da tre anni ed è arrivato a interessare 225 piante (Ogliarola e Cellina): sono stati raccolti 80 quintali di olive e se ne sono ricavati 8 quintali e mezzo di olio. Il quantitativo è stato sufficiente per far quadrare i conti e proseguire nell’attività di impresa agricola. Anche in questo caso, come nei precedenti, si può toccare con mano la differenza tra le piante trattate e quelle non trattate, pur all’interno dello stesso fondo.

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La convivenza con il batterio è un fatto reale e attuale in tutti questi casi che abbiamo passato in rassegna ascoltando direttamente gli olivicoltori. Ma torniamo al punto di partenza di questo articolo, la rotatoria davanti la questura di Lecce: prima ancora di avere conferma dall’apposito cartello infilzato nel terreno, le due piante trattate si distinguono subito dalla terza per la loro vegetazione. E lo stesso si può dire della rotatoria tra viale della Libertà, via Verona e via Frosinone, lungo la strada per la marina di San Cataldo (nella foto, sotto). Nel complesso, in città, sono una dozzina gli ulivi sottoposti a trattamento con l’autorizzazione dell’amministrazione locale. Più di recente una simile “adozione” è stata fatta anche a Tricase: si tratta dell’ulivo secolare nell’isola spartitraffico tra piazza Cappuccini e Corso Roma e i risultati sembrano, anche in questo caso, incoraggianti. Sono sotto gli occhi, almeno di chiunque voglia vedere che “c’è il bianco, il nero e mille sfumature di colore”.

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