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Lunedì, 29 Aprile 2024
Come cambiano gli scenari

Sono sempre più lunghe le mani della criminalità straniera sulle coste salentine

Come già accaduto per le inchieste sul traffico di migranti, emerge anche nell'ultima ordinanza che arriva da Firenze una sorta di vuoto di potere locale. Gli accordi per enormi carichi di droga venivano assunti direttamente fra gruppi albanesi, senza alcun tipo di filtro o "nulla osta"

LECCE - C’è un aspetto che emerge dalle 252 pagine di ordinanza firmate dal giudice per le indagini preliminari Fabio Gugliotta del tribunale di Firenze, più tre altre d’integrazione per inserirci un paio di nomi di assoluto spessore, sfuggiti però alla prima tornata d’inchiesta, e chiudere il cerchio laddove ancora esistevano buchi: che sia per esteso, Sacra corona unita, o in forma di acronimo, Scu, la criminalità organizzata salentina non compare mai. Né sono mai citati elementi di grosso, medio o piccolo calibro inquadrabili nel consesso della malavita del Leccese.

Eppure, il capitolo riguardante il Salento riveste una grossa importanza nell’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano e delegata ai carabinieri della compagnia di Borgo San Lorenzo, che s’è chiusa nei giorni scorsi con oltre ottanta coinvolti. Perché una parte sostanziosa di sostanza stupefacente destinata alle più svariate piazze (non solo quelle del Fiorentino, ma anche delle province di Bologna, Venezia, Torino e persino di alcune tedesche) partiva dalle coste albanesi, raggiungeva le dirimpettaie salentine (fra le grotte di Castro e la vicina Santa Cesarea Terme), per proseguire il suo viaggio verso nord. E tutto questo senza alcun accordo preventivo, richiesta di nulla osta o spartizione che fosse con qualche frangia delle consorterie locali.

Almeno, nulla di tutto ciò emerge allo stato attuale e solo un’ulteriore costola d’indagine potrebbe svelare, semmai vi fossero, dinamiche differenti. Ma si tratta di un vuoto di potere, riguardante buona parte dei traffici illegali marittimi, che gli inquirenti conoscono piuttosto bene. Se, quindi, un fenomeno come quello locale resta contenuto grazie ai tanti colpi di scure della magistratura, non c'è da stare allegri. Altri profili si stagliano all'orizzonte. Ed è il motivo per cui sempre più spesso le forze di polizia italiane intessono partnership con le omologhe straniere.

Il Salento terra di conquista

Qualcuno lo definirebbe indice di chiara debolezza. E di sicuro, rispetto alla ferocia e al rampantismo degli esordi, il tempo ha limato i caratteri e ridisegnato le strategie, anche perché continue operazioni hanno ostacolato ogni tentativo di risurrezione della Scu vecchia maniera. Alcuni hanno cambiato proprio veste, indossando giacca e cravatta e iniziando a ragionare in termini di reinvestimenti di capitali illeciti in attività legali, iniziando a solleticare anche le amministrazioni pubbliche. Altri hanno iniziato a coltivare più che altro il proprio orticello.

La verità è che la mafia salentina è oggi frastagliata in gruppi e gruppetti, i più a forte vocazione locale e, pur intessendo in diversi casi anche alleanze con consorterie di province o regioni vicine, lascia scoperte ampie fette di territorio. Di sicuro, dimostra di non poterle o saperle o magari anche solo volerle gestire a proprio piacimento, di comandare sempre e comunque a casa propria. E nell’assenza di “controllo”, silenziosamente gruppi malavitosi stranieri tessono le redini di grossi traffici, sfruttando il potenziale di una lingua di terra slanciata fra due mari.

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L’operazione “Astrolabio” ha dimostrato la potenza di gruppi di iracheni e siriani insediati fra la stessa Italia, l’Albania e la Turchia nel gestire i viaggi di migranti. L’ultima inchiesta, invece, su una capillare organizzazione transazionale con base logistica a Firenze, ha evidenziato (o più semplicemente ribadito) la capacità degli albanesi di spostare enormi carichi di ogni tipo droga in mezza Europa. In entrambi i casi, il Salento è stato usato come tappa intermedia fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di guadagno, bypassando del tutto qualsiasi rivalsa di eventuali boss locali. Fornendo così la sensazione che alcuni mondi corrano paralleli, senza mai incrociarsi, e che certe torte non vadano spartite.

Un basista nel Salento

Di sicuro, non la spartiva Spiro Petro, 37enne albanese, con domicilio a Firenze. Con una sua manovalanza fidata, peraltro formata da diversi italiani sotto di lui e tutti reclutati nelle sue zone di residenza. Quella di Petro è una delle figure più interessanti dell’intera ordinanza. Ne emerge lo spaccato di un vero e proprio imprenditore con molteplici interessi. Non solo, infatti, sarebbe stato un fornitore di Kledjon Mucollari, 42enne capace di reperire anche cocaina in Olanda, e di Ervis Vangjeli, 38enne, suo braccio destro (anche loro residenti nella provincia fiorentina e figure apicali, nell’indagine), ma avrebbe gestito in autonomia un vasto traffico di hashish e marijuana, importato dall’Albania e fatto sbarcare sulle coste del Salento, sfruttando canali diretti con il Paese delle Aquile. E in particolare con Jovan Memaj, un 39enne, che avrebbe avuto a sua volta una propria vedetta, quello che si definisce un basista, in Giorgio Hameti, un 30enne.

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Salentino di nascita e residente a Scorrano, chiare origini albanesi, Hameti era un (quasi) insospettabile e, a quanto sembra, direttamente dipendente dalla criminalità albanese, senza apparenti legami con quella locale. Memaj, dunque, sarebbe stato il dominus della situazione, l’organizzatore e il coordinatore delle spedizioni di droga dall’Albania verso l’Italia e altre nazioni europee, grazie ai suoi referenti (Petro, per l’Italia); Hameti, invece, un suo stretto collaboratore in loco, il cui compito sostanziale sarebbe stato quello di sovrintendente alle operazioni di trasbordo e sbarco dai gommoni della droga che arrivava sulle coste dopo traversata del Canale d’Otranto.

Il 30enne di Scorrano, senza grossi precedenti (nel 2017, appena 23enne, finì nei guai per una coltivazione di “erba” indoor, una serra domestica come se ne trovano tante, nulla di eclatante), per gli inquirenti sarebbe tutt’altro che un personaggio di piccolo cabotaggio, piuttosto una pedina da inserire in un più ampio contesto di narcotraffico, con tanto di benedizione, se così si può dire, del presunto boss residente sull’altro versante dell’Adriatico. E che di lui si fidava.     

Un esercito di corrieri

Hashish e marijuana, raccontano le carte dell’inchiesta, venivano poi smistati da Spiro Petro verso Toscana, altre regioni settentrionali e Germania grazie ai suoi fidati corrieri: i nomi ricorrenti sono quelli di Gabriele Franchini, 32enne di Reggello e Dario Amendola, 47enne di Pontassieve. In qualche circostanza compaiono anche altri nomi, quello di Chiara De Sanzo, una 31enne di Prato, e di Oscar Colizzi, un 31enne con residenza a Capoterra (Cagliari).

Sono diversi i traffici riguardanti provincia di Lecce e dintorni sui quali gli inquirenti hanno raccolto sufficienti indizi di colpevolezza. Memaj, Hameti, De Sanzo, Franchini e Petro rispondono per aver importato e detenuto circa 300 chili di marijuana e 10 di hashish giunti in prossimità delle coste di Santa Cesarea Terme il 25 luglio del 2020. Memaj, Hameti, Amendola e Petro, per un altro trasporto di 152 chili di marijuana e 26 di hashish arrivati a Castro Marina il 17 agosto del 2020, fatto che costò l’arresto in flagranza di due scafisti (un albanese e un giovane di Scorrano, bloccati dal Roan della guardia di finanza su una barca a vela; per entrambi si è poi proceduto a parte già da tempo).

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A Memaj, Petro, Franchini e Colizzi è poi attribuita la detenzione di 79 chili di marijuana passati da Erchie (Brindisi). A Memaj e Hameti, infine, due casi risalenti al 20 e al 27 giugno del 2020 d’importazione e detenzione di 45 chili e mezzo di marijuana e 23 di hashish in una circostanza, e poco più di 282 di marjuana e 50 di hashish nell’altra. Entrambe le volte, con approdo nella zona delle grotte di Castro. La sensazione, come sempre avviene, è che molti di più possano essere stati gli approdi non verificati fino in fondo per poter procedere alle contestazioni.  

In ogni caso, lo stupefacente arrivato sulle coste del basso Salento sarebbe poi stato trasportato a Firenze con due furgoni, messi di volta in volta da Petro a disposizione dei “corrieri” Amendola e Franchini. Sono stati documentati viaggi per consegne e ritiri di “merce” in varie zone d’Italia e della Germania. Uno dei furgoni sarebbe stato persino dotato di un doppio fondo in grado di contenere fino a circa 300 chili di marijuana.

Quell'arresto a Poggiardo del 2021

L’inizio della fine, per Spiro Petro, arrivò il giorno in cui fu fermato all’altezza di Poggiardo dai carabinieri della compagnia di Maglie con un carico di 320 chili di droga, fra hashish e marijuana, stipato in uno dei furgoni della sua miniflotta. Perché capitava anche che fosse il corriere di sé stesso, oltre a impartire ordini. Erano i primi di marzo del 2021. Arrivò in seguito a patteggiare quattro anni e quattro mesi per quell’arresto in flagranza. Ora, il suo nome è inserito a pieno titolo in un più vasto circuito nel quale le sue conoscenze gli permettevano di fare ordinativi in grande stile e invadere più mercati. Piena attuazione del globalismo, si potrebbe dire, senza azzardo.

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