rotate-mobile
Sabato, 27 Aprile 2024
Il racconto sul posto / Surbo

Salentina in Ecuador: “Coprifuoco e paura. Ma c’è voglia di normalità”

La testimonianza di Simona De Filippis, originaria di Surbo ma da tempo nel Paese sudamericano, nei giorni delle rivolte: “Tensioni che vengono da lontano ma non siamo in stato di guerra. Qui tanto amore per l’Italia”

QUITO (Ecuador) – Evasione di narcotrafficanti, stato di emergenza, assalto armato alla tv pubblica e disordini: non è facile capire cosa accada in Ecuador e interpretare l’escalation di violenze, registrate nei primi giorni dell’anno, con le rivolte scoppiate nelle carceri. Non si tratta, però, di una storia “banale” se il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha indicato l’Ecuador come snodo globale del traffico di cocaina e terzo Paese al mondo per sequestri della stessa sostanza: per la collocazione geografica, tra la Colombia e il Perù, infatti, sul territorio si sono concentrate le attenzioni dei cartelli messicani, delle gang albanesi e della ‘ndrangheta in un contesto che accomuna storie del passato, disuguaglianze che colpiscono la popolazione e nuovi scenari da cui emerge l’indebolimento da parte dei governi susseguitisi nella gestione della criminalità.

C’è chi fa risalire criticità a scelte “esterne” come la pace della vicina Colombia con le Farc, l’esercito del popolo, che ne ha prodotto lo smantellamento e favorito la dispersione di gruppi criminali, vogliosi di controllare le rotte del narcotraffico; e chi addita scelte di politica interna come il mancato rinnovo della concessione agli Stati Uniti della base aerea “Eloy Alfaro” di Manta, che ha tolto un’opzione di controllo sull’Oceano Pacifico. 

Disordini in Ecuador tra città militarizzate e coprifuoco

Le cronache recenti sembrano solo la punta dell’iceberg di un processo di riduzione dell’apparato di sicurezza statale che viene da lontano: la fuga dal carcere di José Adolfo Macías Villamar, noto come “Fito” e capo de Los Choneros nei giorni di Natale, ha portato un gruppo armato appartenente a una delle bande criminali (se ne contano almeno ventidue in Ecuador, tutte in lotta tra loro) a fare irruzione negli studi della tv pubblica Tc Televisión, mentre nelle carceri decine di agenti di polizia sono stati presi in ostaggio dai detenuti.

Il giovane presidente in carica, Daniel Noboa, eletto lo scorso novembre, ha dichiarare lo stato di emergenza che prevede un coprifuoco notturno, una massiccia militarizzazione delle strade, una sospensione del diritto di assemblea per 60 giorni e la chiusura di scuole, collegi e università. E anche se l’Ecuador sembra lontano, è emotivamente vicino per gli oltre ventimila italiani che vi risiedono.  

LA TESTIMONIANZA DIRETTA

Per avere un racconto diretto dai luoghi abbiamo contattato una conterranea che da anni vive lì, Simona De Filippis: salentina, originaria di Surbo, si è trasferita nel Paese sudamericano nel 2006, dapprima per un’esperienza semestrale di volontariato al fianco di alcune suore missionarie italiane, che da diversi decenni operano in un quartiere periferico molto problematico a Quito, la capitale che si trova a oltre 2800 metri d’altezza ai piedi della Ande. Poi l’insegnamento in una scuola italiana, il lavoro con Impregilo (oggi WeBuild) e l’esperienza di dodici anni alla Camera di Commercio italiana in Ecuador dove ha avuto anche il ruolo di segretaria generale.

Simona De Filippis

In Ecuador ha conosciuto suo marito, anche lui italiano, cooperante che si occupa di progetti sociali per le comunità locali, produttrici di cacao sulla costa. Vive sempre a Quito e lavora per una società italiana di logistica che ha investito in loco con sede a Guayaquil (la città commercialmente più importante e con un Pil altissimo, un po’ la Milano dell’Ecuador) occupandosi di relazioni commerciali con altre aziende italiane.

Dall’Italia abbiamo una percezione non definita di quello che sta accadendo in Ecuador: com’è la situazione sul posto?

“Seguiamo le informazioni raccontate dalle principali emittenti italiane e capiamo la preoccupazione di molti familiari e amici che ci chiamano dall’Italia. La stessa multinazionale per cui lavoro ha rinviato il viaggio dagli Stati Uniti per la situazione. Quello che arriva all’esterno è la sensazione di essere in guerra: non è così. Noi abbiamo la fortuna di vivere in zone residenziali, molto tranquille, mentre i disordini riguardano prevalentemente le zone periferiche delle principali città, soprattutto sulla costa, dove insistono tante disuguaglianze e divari sociali. Abbiamo però la sensazione che l’Ecuador non sia più un’Isla de Paz, come dicono qui, ma non solo per quello che accade oggi: molti sono chiusi in casa, conviviamo con le misure di adottate dal governo e con alcune accortezze che ci rendono più sicuri”.

Come proveresti allora a spiegare all’esterno i fatti che riguardano il Paese in cui ti trovi?

“È in atto una guerra tra narcotrafficanti: si sono moltiplicate le bande criminali e sono rivali nella gestione del mercato della droga, senza dimenticare un controllo supremo da parte dei messicani. Di conseguenza, negli ultimi anni, è venuta meno la sicurezza con continui disordini che si sono creati fino alle ultime sommosse nelle carceri e l’evasione del boss Fito che ha innescato i fatti raccontati dai tg”

Cosa ricordi del 9 gennaio, il giorno dell’irruzione alla tv pubblica del gruppo armato?

“A pomeriggio ero in giro nel mio quartiere col cane e facevo spese. A un certo punto si è scatenato il panico, coi negozi e le caffetterie che chiudevano. Ma non si capiva bene cosa stesse succedendo, circolavano fake news su un presunto allarme bomba e si speculava. La gente ha iniziato a fare provviste con l’idea di chiudersi in casa. Per i primi due giorni c’è stato terrore e grande attenzione alle notizie che arrivavano. Già da venerdì scorso, è tutto più tranquillo”.

La situazione nella capitale dell'Ecuador prima che scoppiassero i disordini

Quali sono gli effetti concreti di quanto accaduto nella vita di tutti giorni?

“Il presidente Noboa, che ha costruito la sua campagna elettorale sul tema sicurezza, ha ribadito di voler intervenire con fermezza e dalla scorsa settimana ha firmato il decreto con cui ha imposto lo stato d’emergenza. C’è il coprifuoco notturno e siamo costretti a rientrare per le 23 e a non uscire prima delle 5. In strada è tutto militarizzato con quello che comporta: da un lato la sensazione di sicurezza nel vedere i militari in giro, dall’altra il senso di terrore con cui convivere perché se qualcosa non va, hanno facoltà di sparare”.

Come si convive con questo senso di terrore e con l’attenzione alla sicurezza personale?

“Il cittadino comune è stanco per tanti motivi, uno su tutti è che non sia una situazione nuova in assoluto: dal 2019, per vicende molto differenti, esistono tensioni nel Paese mai risolte. Nel recente passato, molto è degenerato con l’assassinio ad agosto, a poche settimane dalle elezioni, di Fernando Villavicencio, uno dei candidati alla carica di presidente della Repubblica, che aveva condannato i legami tra politica e organizzazioni criminali dedite al traffico della droga. La situazione più delicata resta a Guayaquil, dove c’è un problema di corruzione e da dove partono molti dei carichi di droga anche per l’Europa e l’Italia”.

Con che atteggiamento guardate al futuro dopo le tensioni?

“Da una parte c’è fiducia nella linea dettata dal presidente e speranza nel supporto dei Paesi amici, la gente chiede pace, serenità, vuole normalità. Sappiamo che nell’immediato bisogna convivere col senso di rischio. E con gli effetti dannosi di quanto accaduto, che sta compromettendo il turismo, la vita sociale e quella economico-commerciale. Quando sono arrivata qui, ho assistito a un cambio radicale per le sorti del Paese con l’avvento di Rafael Correa: nei suoi dieci anni da presidente ha contribuito a un’opera di modernizzazione dell’Ecuador e a tante riforme per renderlo più competitivo. Ma c’è anche chi gli imputa le conseguenze negative di oggi con l’aumento della corruzione e la difficile gestione del narcotraffico. Il Paese non si è mosso da questa spaccatura ideologica tra filo-Correa e anti-Correa”.

Se dovessi provare a raccontare l’Ecuador nella tua esperienza, come lo definiresti?

“Un Paese bellissimo dalle mille contraddizioni come tutti i paesi sudamericani ma dalle mille risorse, ricco dal punto di vista culturale, naturale e con paesaggi mozzafiato dalle Ande ai vulcani, dalle coste del Pacifico alla foresta amazzonica, sino alle isole Galápagos. C’è un grande senso di accoglienza: un europeo qui trova ospitalità e considerazione e quando dici di essere italiano ti parlano di tutto: di cinema, di cultura, di bellezza artistica, di gastronomia, di musica, moda, design e made in Italy. Conosciamo e sperimentiamo l’effetto che genera l’essere italiano”.

La situazione della capitale dopo i disordini

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Salentina in Ecuador: “Coprifuoco e paura. Ma c’è voglia di normalità”

LeccePrima è in caricamento