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Terzapagina. Barbonaggio teatrale: "Dignità artistica e politica dell'attore"

Si è conclusa la terza edizione di "Artisti barboni per un giorno" a Lecce con attori che hanno intrattenuto il pubblico nonostante la pioggia. Qui, il racconto "dietro le quinte" di una categoria e del suo ruolo nella società

LECCE - Si è conclusa ieri, a Lecce, la terza edizione di “Artisti barboni per un giorno”, con decine di attori che hanno intrattenuto il pubblico nel centro storico, facendo vedere a spezzoni il proprio spettacolo. Un'esperienza che, nel tentativo del capoluogo di candidarsi a città europea della cultura, permette di accendere una luce particolare sul mondo artistico, conosciuto spesso in maniera superficiale.

Alberto Mello, giornalista leccese, ci racconta "dietro le quinte" questo vissuto, offrendo una preziosa chiave di lettura, che tiene conto di un elemento, a volte dimenticato: gli artisti sono innanzitutto dei "lavoratori come tutti gli altri", ma svolgono una funzione "sociale" e "politica". Per questo, l'arte ha il suo prezzo e la cultura non può essere abbandonata a se stessa.

"Quanti di voi conoscono un artista? Intendo personalmente. E intendo un artista vero, cioè che impiega la maggior parte del suo tempo a dipingere, costruire installazioni, scrivere versi o racconti, studiare copioni e recitarli. E, particolare fondamentale, che vive di questo. O meglio: che si guadagna da vivere facendo esclusivamente questo. Allora?

Il campo si restringe. Tutti conosciamo persone appassionate d’arte, molti sono buoni dilettanti, musicisti che provano il fine settimana in scantinati, scrittori eternamente al lavoro, nelle mezz’ore di pausa in ufficio, sul romanzo di una vita. L’artista è un’altra cosa, però. È uno che ha superato la linea immaginaria che c’è tra il volere e l’essere. E non sono tanti, a ben guardare.

Quando ho conosciuto uno di loro ho constatato da vicino che queste persone sono immerse in una costante, duplice ricerca: la ricerca artistica, che riguarda i contenuti del loro lavoro, e la ricerca dei mezzi che gli consentono di lavorare. Dei mezzi economici. 'Ma l’arte non ha nulla a che fare col denaro', dirà qualcuno. Sbagliato. Non ha a che fare in senso stretto, col denaro. Infatti è l’artista ad avere a che fare col denaro, come qualsiasi altro cittadino. E come qualunque cittadino, anche l’artista ha bisogno di denaro e per procurarselo lavora, appunto, facendo l’artista. Non so se mi spiego. È come un cane che si morde la coda. E in un noioso “momento di crisi”, come quello che ci è toccato attraversare, il cane rischia di impazzire, cercando di acchiapparla, la coda.

Come spiega un piccolo documento che la compagnia 'Nasca - Teatri di terra' ha distribuito nei giorni scorsi per presentare il “Barbonaggio teatrale”: 'Negli ultimi anni abbiamo assistito a una diserzione di massa del bello, della creatività, dell’arte. Perché la crisi ha convertito in solitudini individuali le problematiche sociali e le nuove povertà, materiali e spirituali. In ogni città decine di teatri, cinema e gallerie hanno chiuso i battenti perché hanno smesso di essere frequentati. E per la difficoltà di aprirsi all’incontro con una società in così rapido cambiamento. È accaduto così che la cultura, intesa come produzione creativa di racconti, di visioni, di espressioni possibili del tempo vissuto, ha avuto meno spazio nella quotidianità delle persone. Che si sono ritrovate più sole. E gli artisti con meno opportunità di esprimersi e di lavorare'.

È tutta qui la questione. Come cavarsela? A Lecce un attore teatrale, Ippolito Chiarello, ha pensato di fare tutt’uno della ricerca artistica e della ricerca dei mezzi per proseguirla. Ha fatto a pezzi un suo spettacolo, 'Fanculopensiero stanza 510' (liberamente ispirato al romanzo di Maksim Cristan) e si è messo a vendere questi pezzi su un palchetto di legno ai passanti. Al pubblico.

Non solo. Prima dell’esibizione, a chi lo avvicina, spiega che l’artista è un lavoratore come tutti gli altri e che l’arte ha un prezzo. Il costo totale dello spettacolo di Chiarello è pari al minimo sindacale della 'giornata' di un artista. Lavorando con impegno e un po’ di fortuna, dovunque va riesce a guadagnare la giornata. E a cambiare nelle persone che incontra (una alla volta, parlandoci) la percezione dell’artista. Da genio ispirato a lavoratore salariato dal suo padrone, che è il pubblico.

La cosa ha avuto un certo successo. Più di qualcuno, in Italia, ha cominciato ad esibirsi utilizzando questo codice, questa 'modalità di proposta artistica'. E il Barbonaggio Teatrale1379502_409244572511181_441770880_n-2 ha finito per avere tutte le carte in regola per farsi 'movimento', per acquistare una dignità politica accanto a quella artistica.

A Lecce ieri si è svolta la terza edizione di 'artisti barboni per un giorno'. È stata una edizione bagnata dalla prima pioggia dell’autunno, ma lo stesso fortunata. Decine di attori (con qualche pittore e qualche musicista) si sono esibiti per i passanti e per gli avventori dei locali del centro storico della città vendendo a spezzoni il loro spettacolo. C’erano attori da tutta la Puglia e da buona parte del Sud. Qualcuno è venuto dal Nord, tanto che all’aperitivo di benvenuto c’è stato bisogno di ricordare che le friselle vanno bagnate in acqua, prima di condirle col pomodoro.

Il risultato è stato che a tarda sera in molti punti del centro storico c’erano artisti che parlavano con le persone (tanti adolescenti). Tutti insieme, in una specie di azione corale, artistica e politica allo stesso tempo, a ripresentarsi al pubblico smarrito dei teatri. A ribadire che gli artisti hanno sempre avuto e devono continuare ad avere un ruolo in una società viva. E a mostrare, dietro un piccolo pagamento, qual è questo ruolo: creare, raccontare, intrattenere, divertire, suggerire significati.

Non ho visto nessuno andare via pentito di aver acquistato un pezzo di teatro, una poesia, una pennellata. Penso che per una città che ha deciso di puntare sulla cultura per immaginarsi migliore, questa opera d’arte collettiva abbia rappresentato un momento importante.  Come quando si getta un seme". 

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