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Cultura

Terzapagina. I Ministri del rock senza larghe intese "Per un passato migliore"

Il trio milanese è da poche settimane uscito col nuovo album, pubblicato con etichetta indipendente: ritmo serrato, suoni duri e scetticismo rispetto al futuro nei testi delle tredici canzoni. Una produzione di notevole qualità

Milano - Il rock italiano è vivo e vegeto. In parte il merito è dei gruppi alternativi che, negli ultimi vent'anni, hanno retto la storia del genere, dagli Afterhours (senza dubbio i migliori e costanti tra tutti) ai Marlene Kuntz (anche se leggermente sbiaditi rispetto alle produzioni più riuscite), passando dai Baustelle (allontanatisi rispetto allo spirito dell'ispirato "Sussidiario illustrato della giovinezza"), a realtà come "Il teatro degli Orrori" e Zen Circus o ad artisti come Paolo Benvegnù (l'elenco si potrebbe arricchire). È soprattutto grazie a loro che il dibattito rock italiano non si è ridotto alla stucchevole contesa tra i due big degli stadi sold out, Vasco Rossi e Luciano Ligabue, autori per la verità ormai da tempo orientati su sonorità più pop rock.

Se i Verdena rappresentano tra le realtà più recenti quella maggiormente collaudata, arrivano anche altre importanti conferme. È il caso de I Ministri, il trio rock milanese, composto da Federico Dragogna, Davide Autelitano e Michele Esposito, uscito da circa un mese e mezzo con un nuovo album dal titolo eloquente: "Per un passato migliore".

Fin dalle loro origini (con "I soldi sono finiti" e "Tempi bui") il gruppo ha inteso scegliere una comunicazione diretta nei testi, urlando il disagio di una generazione frustrata dalle promesse in frantumi e arricchendolo di un suono schietto, spesso privo di arzigogoli e virtuosismi, ma non avulso dalla melodia. "Fuori" del 2010 aveva rappresentato un'evoluzione stilistica e una maturazione musicale, pur nella fedeltà alla dirompenza delle canzoni. Il nuovo lavoro segna uno spartiacque: l'addio alla Universal, per un'etichetta indipendente (GodzillaMarket) evidenzia il desiderio di puntellare l'autonomia del progetto. Il risultato è sorprendente, con ritmi serrati, arrangiamenti quasi da "combattimento" e una struggente proprietà evocativa dei testi.

I Ministri, a dispetto del nome e del momento politico, non praticano "le grande intese" ed osservano con sguardo personale la realtà circostante, senza nascondere la disillusione e lo scetticismo dinanzi al futuro e l'amarezza di un presente complicato, che sembra riportare la storia dentro un circolo vizioso. E si fa largo inevitabile una visione nichilista della vita, che riecheggia nei testi e nel doppio ritmo di "Mammut", canzone che apre l'album. Le alternative non sembrano avere spazio: "Uno di noi si sbaglia, uno di noi schianterà. Con la stessa voglia e con la stessa rabbia".

Il singolo in rotazione nelle radio, "Comunque" è ancor più un manifesto del pessimismo reale, dove l'inutilità del voto, del possedere qualcosa, del tempo (l'orologio) appaiono di una gelida attualità e crudele verità, nel quadro della crisi a tutti i livelli. Eppure nello stesso ritornello, la reazione è in quel "tanto vale provarci comunque".

Un tema, quello del "provare a fare qualcosa" che si articola ancora meglio ne "La pista anarchica", la ballata più efficace dell'album dove nell'elencazione dei drammi della cronaca, l'unica via d'uscita appare una strada non ancora battuta e ritenuta banale dal senso comune.

Il livello dell'album è incredibilmente alto, tanto da sembrare il più ispirato della band: ci sono almeno sei brani (tra cui meritano una menzione "I tuoi weekend mi distruggono" e l'intensa "Una palude") di pregevole fattura e composizione. Se "Padania" degli Afterhours è stato senza dubbio il miglior album rock italiano della stagione scorsa, "Per un passato migliore" de I Ministri si candida a raccoglierne la pesante eredità per il 2013.

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