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Venerdì, 26 Aprile 2024
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"Le parolacce di Dante" di Federico Pier Maria Sanguineti

Nell’anno del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, Tempesta Editore pubblica un’importante lettura della Divina Commedia in quattordici brevi capitoli che pone l’accento sull’uso delle parolacce da parte del Sommo Poeta

Nell’anno del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, Tempesta Editore pubblica Le parolacce di Dante del professor Federico Sanguineti, ordinario di Filologia italiana e Filologia dantesca all’Università di Salerno; un’importante lettura della Divina Commedia in quattordici brevi capitoli che pone l’accento sull’uso delle parolacce da parte del Sommo Poeta.

Sanguineti ci fa pensare a un Dante inedito, antesignano del materialismo storico e del femminismo.

Nel primo caso perché Dante come Marx ambiva all’abolizione della proprietà privata, ossia alla realizzazione di un paradiso in terra; è importante ricordare inoltre quanto Marx abbia citato Dante e quanto abbia colto nella Divina Commedia la nascita della società borghese: quella corrotta collocata nell’inferno, quella in transizione nel purgatorio e quella giusta in paradiso.

Nel secondo pensa alla donna in modo nuovo, paritario; la sua Beatrice è loquace, e dà a Dante diritto di cittadinanza («e sarai meco sanza fine cive») infrangendo l’obbligo imposto da San Paolo alle donne, quello di non aver voce in capitolo, di non poter insegnare.

A differenza di Petrarca che, da intellettuale aristocratico, amava Laura, una donna borghese che non parla mai, per Dante Beatrice non è più della donna «gentile» che abbiamo appreso a scuola ma una donna vera, in carne ed ossa perché in paradiso la gerarchia è apparente. Ed è proprio Beatrice a spiegare a Dante che lì non ci sono né gerarchia né patriarcato.

Il Paradiso è il luogo dove la donna amata da Dante parla più di chiunque altro, non ha da ascoltare in silenzio la lezione di nessuno e in ogni campo del sapere ha qualcosa di nuovo da insegnare.

Nel nono capitolo del libro Sanguineti fa emergere quanto la posizione dantesca sia in netto contrasto con la credenza comune del tempo, soprattutto in ambito ecclesiastico, e cita infatti  Fra Cherubino da Spoleto che nelle Regole della vita matrimoniale del 1477 spiega come correzione, reprensione,  gastigamento siano tutte cose che lo marito è tenuto a dare alla moglie. Uno ius corrigendi matrimoniale che era un dovere, un’imposizione e un vincolo.

Nel decimo ci parla di  Cristina da Pizzano, meglio conosciuta come Christine de Pizan, una donna in grado di condurre esistenza autonoma in virtù esclusiva della propria attività intellettuale,  prima scrittrice migrante, in anticipo su chiunque, è la prima a riconoscere la grandezza internazionale di Dante e definisce la sua opera come qualcosa di grandioso, senza paragone. L’opera del Sommo è un miracolo linguistico che mescola, al fiorentino del suo tempo, altre forme toscane, forme settentrionali, francesismi, provenzalismi, latinismi, neologismi e parolacce, ma come dice nell'introduzione Moni Ovadia è importante tuttavia non considerare le parolacce pensandole nel nostro contesto e valutandone nell’uso ridonante e insensato del turpiloquio dei nostri giorni.

Perché il professor Sanguineti ci propone un viaggio alternativo alla comprensione di Dante e dei processi meno noti che lo portano allo sviluppo dell’unicità della sua lingua.

Le parolacce di Dante, le cui radici sono ravvisabili nella Bibbia, in molti passi dell’Antico Testamento e dell’Apocalisse in cui i profeti le usano per esprimere riprovazione nei confronti di miscredenti e profanatori, sono dunque parole ignobili, oscene, sconce o, parole di un linguaggio opposto al dolce stil novo del volgare illustre; parole normalmente interdette dal linguaggio comune che fanno riferimento alla sfera sessuale, alla mancata igiene o ad attività illecite.

Subito dopo la morte del Sommo, la Divina Commedia diventa quello che oggi potremmo definire un best seller e i borghesi fiorentini fiutando l’affare, decidono di produrne centinaia di copie per un pubblico altrettanto borghese. E l’intervento dei copisti, che accostandosi in modo non istituzionale alla sua lingua e alla sua opera, ha come effetto l’infiltrazione di nuove parolacce fra le parole e le parolacce di Dante.

Per celebrare veramente Dante non solo nell’anno dell’anniversario di nascita o morte, l’invito del professor Sanguineti è quello di leggere Dante per il gusto e il piacere di leggerlo. Parola per parola. E, si capisce, pur parolaccia dopo parolaccia. Dal primo verso fino all’ultimo. Senza più stereotipi scolastici, antologicamente fatto a pezzi, o per obbligo o per compilare svilenti compiti in classe in forma di questionari multi risposta.

Federico Pier Maria Sanguineti (Torino,1955) è figlio del poeta e critico letterario Edoardo Sanguineti, è professore ordinario di filologia italiana all'Università di Salerno. Ha pubblicato i volumi Gramsci e Machiavelli (Laterza, 1982), La storia letteraria in poche righe (Nuovo Melangolo, 2018), Le parolacce di Dante Alighieri (introduzione di M. Ovadia, Tempesta, 2021). Ha curato le seguenti pubblicazioni: Alessandro Manzoni, La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859 (Costa & Nolan, 1985), Lorenzo de' Medici, Poesie (BUR Rizzoli, 1992), Dantis Alagherii, Comedia (Edizioni del Galluzzo, 2001), Dantis Alagherii, Comedia, Appendice bibliografica (Edizioni del Galluzzo, 2005), Inferno, Edizione critica alla luce del più antico codice di sicura fiorentinità (Nuovo Melangolo, 2020), Purgatorio, Edizione critica alla luce del più antico codice di sicura fiorentinità (Nuovo Melangolo, 2021). In poesia ha pubblicato la raccolta 1-23 (d’If, 2011).

La foto del professor Sanguineti è di Gerardo Grimaldi.

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