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Martedì, 19 Marzo 2024
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Archeologi salentini tra i tesori della Pompei d’Oriente: civiltà dalle "originali" gerarchie

Ricercatori di quattro laboratori del Dipartimento di Beni culturali dell’ateneo salentino hanno presentato i risultati della campagna di scavo in quella che è considerata la mitologica Aratta

LECCE – Dal Salento all’Iran per riportare alla luce i tesori della “Pompei d’Oriente”. Gli archeologi di quattro laboratori del Dipartimento di Beni culturali dell’ateneo leccese hanno presentato questa mattina i risultati della loro campagna di scavi nel sito di Shar-i-Sokhta. Impegnati nella missione italo-iraniana, i ricercatori e docenti di Topografia antica e fotogrammetria, Antropologia fisica, Paleobotanica e paleoecologia e Archeozoologia coordinati rispettivamente da Giuseppe Ceraudo, Pier Francesco Fabbri, Girolamo Fiorentino e Claudia Minniti. Il sito, nella provincia dell’Iran orientale  denominata Sistan-va-Baluchistan, rientra tra quelli del programma Unesco ed è considerato la “Pompei d’Oriente”.

A partire dal 2016 è il luogo scelto per gli interventi di ricerca e scavo da parte di una missione internazionale alla quale partecipa il Dipartimento di Beni culturali dell’ateneo salentino. Un primo bilancio è stato presentato alla presenza del rettore UniSalento Fabio Pollice, dell’ambasciatore italiano nella Repubblica islamica dell’Iran Giuseppe Perrone, dell’Aambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran in Italia Hamid Bayat, del direttore dell’Iranian Cultural Institute Taghi Amini, del direttore della Scuola di specializzazione in Beni archeologici “Dinu Adamesteanu” dell’Università del Salento Gianluca Tagliamonte e del direttore del Dipartimento di Beni culturali UniSalento Raffaele Casciaro. I risultati sono stati racchiusi in un volume dal titolo “Scavi e ricerche a Shahr-i Sokhta”, curato dal direttore del progetto Maips (Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha, coordinato dal professor Giuseppe Ceraudo) Enrico Ascalone dell’Università di Göttingen e da Seyyed Mansur Seyyed Sajjadi dell’Iranian Center for archaeological research, direttore del progetto archeologico di Shahr-i Sokhta e Dahan-ye Qolaman dal 1997.Fig1-4

Il sito di Shahr-i Sokhta, tra l’inospitale deserto del Lut e le alture del Baluchistan, è un centro perfettamente conservato a causa di formazioni saline presenti su tutta la superficie che hanno protetto reperti e strutture del sottosuolo. È noto soprattutto  per essere stato spesso associato, dalla letteratura, alla mitologica Aratta. Citata nei maggiori poemi sumerici, Aratta è dipinta come un posto lontano e difficile da raggiungere, ma zeppo di ori. La città è considerata anche come la sede della dea Inanna, alla quale fu dedicato un tempio fatto di lapislazzuli. Shahr-i Sokhta, estesa per 200 ettari, si trova tra le quattro grandi civiltà fluviali (Oxus, Indo, Tigri-Eufrate e Halil) dell’Asia Media, Centrale e Meridionale: quella sumerica, i cui legami letterari confluiscono nella mitologia; quella di Jiroft, culla di una nuova e dimenticata civiltà fino al 2003; quella dei grandi centri dell’Asia Centrale; quella dei grandi insediamenti di Harappa e Mohenjo-daro, con cui Shahr-i Sokhta intrattenne rapporti a vario livello.

Proprio i recenti studi ai quali hanno contribuito gli studiosi salentini hanno messo in luce un cambiamento nella cronologia di quel luogo. Una nuova sequenza stratigrafica  fa "salire" la vita dell’abitato di circa tre, forse quattro secoli. Altri significativi elementi fanno pensare che la comunità dell’altopiano iraniano fosse organizzata a mo’ di struttura eterarchica: le varie tribù del luogo avrebbero dunque convissuto in uno stato di  equilibrio sociale tra loro, dove le gerarchie avrebbero preso piede soltanto all’interno del singolo  “clan”. Un’armonia anche in chiave economica forse dovuta alla notevole prosperità che il centro visse durante la prima metà del III milleFig6-3-2nnio a.C. A conferma di questo equilibrio, che di fatto poi impedì la centralizzazione delle risorse dell’insediamento e l'imporsi di una classe dominante sul sito e nella sua regione, anche recenti  scoperte di centinaia di proto-tavolette in argilla, usate per la registrazione contabile negli edifici: forme di contabilità amministrativa a carattere familiare, destinate al calcolo e alla gestione del surplus economico.

Professor Ascalone che cosa avete rinvenuto, esattamente, da consentire una ricostruzione della straordinaria struttura socio-economica dell'epoca? Quali reperti?


“Oltre a scavare in aree residenziali, la ricerca si è concentrata anche presso la necropoli (scavata dai nostri colleghi iraniani); le due attività di scavo hanno permesso di ipotizzare una società di tipo eterarchico con la presenza di più di un gruppo tribale convivente nello stesso sito. La struttura gerarchica era interna ad ogni singolo clan, ma non tra clan. A suffragare questa idea, oltre alla presenza di diverse tipologie tombali, numerose altre evidenze, tra cui si aggiungono più di un centinaio di proto-tavolette con annotazioni numeriche contabili che hanno permesso di ricostruire il ciclo amministrativo delle élite del centro, ma anche delle singole famiglie”.

Dal 2016 Unisalento impegnata nella campagna di scavi: perchè quel sito? Quali le potenzialità e che cosa vi aspettate di trovare in futuro?
“Innanzi tutto vorrei ricordare la Missione archeologica Iraniana, diretta da Mansur Sajjadi, che ci ospita e che ha reso possibile la realizzazione di questo progetto. In futuro si vuole fornire una sostanziale correzione alle cronologie del sito che, sulla base delle nuove analisi isotopiche, deve alzarsi di cronologia di almeno tre secoli. In più ampliare in larghezza e profondità le indagini in Area 33 e presso la ‘Eastern residential area”.

Ci sono risorse a disposizione da impegnare in una campagna bis?
“La prossima campagna sarà a ottobre-novembre 2021 e ’sposta’ almeno 15 persone dell'Università del Salento nel Sistan-va-Baluchistan. Le risorse economiche sono garantite dal Dipartimento dei Beni culturali e dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale che ringrazio sentitamente per aver raccolto questa sfida. In particolare i miei ringraziamenti vanno al Rettore Fabio Pollice, al Direttore del Dipartimento, Raffaele Casciaro, e al corpo diplomatico italiano in Iran, in particolare Sua eccellenza Giuseppe Perrone e l’Addetta culturale presso l’Ambasciata, Yaroslava Romanova”.

Qual è la novità metodologica rispetto ad altre campagne di scavo?
“Introdurre nuove metodologie tecnologiche applicate alla ricerca archeologica (tra cui analisi geomagnetiche, isotopiche, paleoparassitologiche) e sviluppare un progetto multidisciplinare in cui convogliano anche studi paleobotanici (Prof. Fiorentino), archeozoologici (Prof. Minniti), topografici (Prof. Ceraudo) e antropologici (Prof. Fabbri), tutti dell’Università del Salento. Un progetto che non abbia solo lo scavo tradizionale”.

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