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Campagna di vaccinazione: non solo un problema di dosi, il fattore umano conta

Sopralluogo nell'hub presso il museo "Sigismondo Castromediano". I flussi variano a seconda delle forniture, ma il punto di equilibrio rispetto all'efficienza dipende molto dal senso di responsabilità di cittadini e operatori

LECCE – Tra reperti archeologici, opere d’arte come i due polittici veneti del XIV e XV secolo che sono stati piazzati al centro della sala, e le note di un pianoforte l’attesa del vaccino è più confortevole.

La scelta del Museo “Sigismondo Castromediano” come hub per la somministrazione è stata indovinata (gli altri sono la caserma "Zappalà" e il palasport di via Caduti di Nassiriya): la percezione di una accoglienza più “calda” è utile perché il cittadino impaziente digerisca l’attesa e, magari, superi i timori: i dubbi, infatti, non mancano soprattutto per il tipo di dose. “Che vaccino mi fate?” è di solito la prima domanda che il cittadino ponte durante il triage.

Negli spazi del museo si fanno tra le 250 e le 280 vaccinazioni al giorno quando l’accesso è riservato essenzialmente ai cittadini con prenotazione, fino a 550 quando le maglie vengono allargate (da giovedì 22 possono presentarsi nuovamente anche coloro che hanno tra i 70 e i 79 anni e sono privi di prenotazione, oppure non hanno potuto rispettare un appuntamento già fissato).

La capacità massima giornaliera, secondo le dichiarazioni rese alla vigilia dell’apertura, è di parecchio superiore a quella effettiva delle prime tre settimane di operatività. Per pigiare davvero sull’acceleratore, come il generale Figliuolo chiede, molti tasselli devono tenersi insieme: un numero adeguato di vaccini (e questo dipende proprio dal commissario straordinario), la presenza del personale medico e infermieristico necessario a far girare il motore e il funzionamento complessivo della filiera, dalla compilazione dei moduli di consenso alla somministrazione passando per il triage.

Tutti gli step devono viaggiare alla stessa velocità per non creare scompensi: non sono compartimenti stagni, ma pezzi di una storia che si tiene insieme: se le fasi del filtraggio consentono l’accesso di un certo numero di persone per volta, una scelta efficiente è quella di attivare il numero di postazioni che servono a smaltire il “carico” nell’unità di tempo assegnata.

Negli spazi museali si accede con il filtro della protezione civile che gestisce il primo impatto con l’utenza. Non è una fase facile, perché i tentati di forzatura non mancano mai: questo hub è destinato ai residenti a Lecce, ma c’è chi è arrivato anche da un’altra provincia, per esempio da San Pietro Vernotico e da Cellino San Marco. Alcuni poi dichiarano una condizione di salute fragile che non sono in grado di documentare in fase di colloquio con il medico.

Una volta nell’edificio, inizia l’iter vero e proprio il cui completamento, ci ha spiegato il responsabile logistico afferente al Dipartimento di prevenzione, in genere non supera i 60 minuti. La compilazione del modulo di consenso è una di quelle fasi dove è più facile che si crei il cosiddetto collo di bottiglia: alcuni cittadini hanno davvero bisogno di essere assistiti, altri arrivano semplicemente impreparati, rallentando inevitabilmente i tempi.

Un passaggio complicato è anche quello del triage, preliminare alla somministrazione. Bisogna fare i conti, per esempio, con la diffidenza verso AstraZeneca: più volte è capitato che i medici si siano ritrovati sotto gli occhi un messaggio di chat esibito dal cittadino per motivare la sua richiesta irrevocabile di ricevere una dose di un altro produttore. Addirittura nei giorni scorsi persona ha chiesto esclusivamente un vaccino Johnson & Johnson, ancora nemmeno disponibile tra le forniture all’Italia (lo è da ieri).

La maggior parte dei cittadini si comporta in maniera ragionevole e collaborativa, altri si rivelano dei veri e propri ossi duri. Molto dipende, ha ricordato una dottoressa in servizio straordinario presso l’hub, dal modo in cui ci si relaziona: talvolta, ma non sempre, basta un atteggiamento di empatia per superare perplessità e chiarire dubbi di chi, per mille ragioni, si sente smarrito o in pericolo. Altre volte bisogna mostrarsi fermi, respingere l’ostinazione e far scorrere la fila.

Il primo insegnamento dell'osservazione diretta del funzionamento di un hub vaccinale è che tra le inefficienze del sistema, alcune vere e altre presunte, e le richieste dei cittadini, alcune legittime e altre fuori dalla grazia di Dio, c’è il grande spazio occupato dal senso di responsabilità degli operatori ma anche dalla volontà di cooperazione degli “utenti”. Spesso, infatti, si dimentica che il contesto attuale è quello di un’emergenza mondiale.

Attesa tra reperti e opere d'arte

Il secondo è che i controlli. anche se non fanno clamore, vengono fatti: i carabinieri del Nucleo anti sofisticazioni hanno effettuato più di una ispezione nel museo. Vengono verificati i verbali e acquisita la documentazione, per esempio quella esibita dai cosiddetti caregiver dei minori disabili: genitori, tutori, affidatari, familiari conviventi possono presentare anche una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, con l’assunzione della responsabilità di tipo penale che ne deriva. Dichiarare il falso è un reato e d’altra parte non si può chiedere al personale sanitario o di protezione civile di indossare i panni del gendarme: la priorità dal punto di vista sanitario è quello di vaccinare il prima possibile il maggior numero di cittadini.

Da questo punto di vista ci sono naturalmente le direttive del piano nazionale, con l’indicazione delle categorie target, gli obiettivi di somministrazione giornaliera e settimanale, ma a livello territoriale bisogna adattarsi alla realtà, che non è sempre e facilmente racchiudibile in uno schema: nella fase attuale il via libera è per i cittadini prenotati, per coloro che, pur senza prenotazione, rientrano nella fascia tra i 70 e i 79 anni, e ancora per i caregiver e le persone con particolari problemi di salute.

A proposito di fragilità, gli hub vaccinali risentono inevitabilmente delle matasse non sbrogliate nei tempi previsti: i protocolli prevedono che la vaccinazione di persone con determinate patologie debba essere fatta dai medici di base, ma in molti casi non è andata così. L’apporto della medicina generale, finora, è stato azzoppato sia dal flusso, contingentato e talvolta rimodulato, delle dosi sia da un atteggiamento tendenzialmente conservativo di una parte della categoria. Se, d'altra parte, la somministrazione agli over 80 in regime di assistenza domiciliare integrata ad oggi non è stata completata è anche per questo motivo. La storia di una pandemia non è facile da affrontare: nessuno sa immaginare con esattezza quando verrà scritta l'ultima pagina e prima molti capitoli dovranno essere approfonditi.

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