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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Accoltellato a morte a 21 anni e gettato in una scarpata: chiesto il processo per sei

Si terrà il prossimo 20 novembre l'udienza preliminare nei riguardi delle persone coinvolte nel delitto del 21enne Natale Naser Bahtijari, residente a Lecce, avvenuto a Manduria nella notte a cavallo tra il 22 e il 23 febbraio scorsi. In tre rispondono di omicidio

MANDURIA/LECCE - Si svolgerà il 20 novembre l’udienza preliminare per discutere la richiesta del pubblico ministero Milto De Nozza di mandare a processo i sei imputati coinvolti nell’omicidio del 21enne Natale Naser Bahtijari, originario di Campi Salentina ma residente a Lecce, avvenuto a Manduria nella notte a cavallo tra il 22 e il 23 febbraio scorsi. 
Starà alla giudice del Tribunale di Lecce Giulia Proto decidere le sorti di: Vincenzo Antonio D’Amicis, di 20 anni, nipote di Vincenzo Stranieri, di 63, personaggio storico della Sacra Corona Unita detto “stellina” per via del tatuaggio a cinque punte sulla fronte, e dei due 23enni, Domenico D’Oria Palma e Simone Dinoi. Si tratta dei tre (finiti in carcere cinque giorni dopo i fatti) su cui pesano le accuse principali: omicidio in concorso pluriaggravato dal nesso teleologico, dai motivi futili, dall'aver adoperato sevizie, dall'avere agito con crudeltà e dal metodo mafioso e tentata soppressione e/o distruzione di cadavere.
Tra gli imputati, c'è anche il fratello della vittima, Suad, di 29 anni, al quale è contestato il reato di spaccio in concorso con Dinoi e D’Amicis.
E’ per conto del familiare (all’epoca ai domiciliari ai domiciliari per scontare la condanna divenuta definitiva) che, quella sera, il 21enne sarebbe giunto nel tarantino per ricevere il pagamento di una partita di droga, nello specifico di 100 grammi di cocaina, salvo poi trovare la morte. 
Risponderà invece di rapina pluriaggravata, Stranieri, perché, dopo il delitto, insieme al nipote, avrebbe raggiunto la vettura, una Fiat 500, con a bordo le due ragazze che accompagnarono Natale Naser Bahtijari a Manduria, costringendole a lasciare il mezzo e consegnare le chiavi, a suon di minacce del tipo “scendete dalla macchina o vi sparo in testa”, e strattonamenti.
I due si sarebbero poi allontanati con la vettura che fu ritrovata il 25 febbraio in una zona periferica della città.
L’udienza preliminare riguarderà anche il titolare del bar, un 34enne di Maruggio, in cui il 21enne fu pugnalato per la prima volta. E’ accusato di favoreggiamento perché avrebbe disattivato l'impianto di videosorveglianza dell'attività e avrebbe ripulito con la varichina le tracce di sangue lasciate dalla vittima dopo il pestaggio. Ascoltato dagli agenti della squadra mobile di Taranto, inoltre, non riferì l’identità degli aggressori, di cui sarebbe stato a conoscenza. 
A difenderli ci penseranno gli avvocati Stefano Stefanelli e Benedetto Scippa,  del foro di Lecce, Lorenzo Bullo e Franz Pesare, Armando Pasanisi e Nicola Marseglia, del foro di Taranto. Durante l’udienza preliminare, i familiari della vittima potranno costituirsi parte civile con gli avvocati Stefano Pati e Renata Minafra.

Il delitto e le indagini

Stando alle indagini, la vittima fu aggredita dal trio, dal quale avrebbe dovuto riscuotere il pagamento di 100 grammi di cocaina, prima con un pugnale all’interno di un locale, nel centro di Manduria; poi fu trascinata in auto, dove gli fu fatto credere che sarebbe stata accompagnata in ospedale. In realtà fu raggiunta una zona periferica, dove il malcapitato fu minacciato con queste frasi: ““Ti scannu”, “Ti tagghiu la capu”, “perché hai sparato sulla macchina di mia madre per mio nonno”; fu picchiato e ancora una volta accoltellato in più parti del corpo, soprattutto al volto, dove gli lasciarono due ferite simmetriche agli zigomi.
Il suo corpo fu infine gettato al di là del guardrail lungo la strada per Oria. L’intenzione sarebbe stata quella di dargli fuoco, ma Palma e Dinoi, ritornati sul posto, dopo essersi riforniti di benzina, non sarebbero riusciti a vedere col buio il cadavere che, nel rotolare nella scarpata, si era impigliato in un arbusto di rovi. Insomma, gli inquirenti non hanno dubbi: il delitto fu compiuto per non pagare il debito di droga e per vendicare il torto subito dalla famiglia di uno degli assassini.

La svolta grazie a intercettazioni e telecamere di sorveglianza

Oltre alle intercettazioni ambientali, già disposte nell’ambito di un procedimento finalizzato proprio a fare luce su un giro d’affari con gli stupefacenti lungo l’asse che va dal capoluogo salentino al Tarantino, fondamentali a chiudere il cerchio furono le telecamere di sorveglianza nelle zone raggiunte dagli indagati.
Stando agli inquirenti, il delitto del giovane leccese fu eseguito con modalità evocative dell’intimidazione tipica dell’agire mafioso perché tanta brutalità è eloquente della volontà di rivendicare il predominio criminale.
In particolare, secondo il sostituto procuratore della Dda di Lecce, Milto De Nozza, emblematico del contesto mafioso in cui è maturato il gravissimo fatto di sangue, è il bacio dato da Dinoi, durante le fasi concitate dell’omicidio, al “tatuaggio di famiglia” che De Amicis, ritenuto “l’astro nascente degli Stranieri”, ha impresso sul braccio destro.
Insomma, la “punizione” pubblica a questo sarebbe servita: a restaurare la gerarchia e i valori criminali in qualche modo calpestati dalla vittima.

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