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Cronaca Taurisano

Caso Rosafio: per la Cassazione la sentenza è nulla e il processo è da rifare

E' da rifare il processo d'appello nato dalla maxi inchiesta relativa allo smaltimento di rifiuti. Principale imputato, il 38enne di Taurisano, gestore di fatto delle ditte "Rosafio Rocco Servizi ambientali" e "Rosafio srl"

ROMA – E’ da rifare il processo d’appello nato dalla maxi inchiesta relativa allo smaltimento illecito di rifiuti che vedeva come principale imputato Gianluigi Rosafio, 38enne di Taurisano, gestore di fatto delle ditte “Rosafio Rocco Servizi ambientali” e “Rosafio srl”. La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, infatti, ha annullato la condanna a 4 anni e mezzo emessa nei confronti dell’imputato, rinviando gli atti alla Corte d’appello per un nuovo processo. Cade per il momento, dunque, la circostanza aggravante della modalità mafiosa, riconosciuta in appello. Rosafio, infatti, secondo quanto contestato dal pubblico ministero, avrebbe fatto ricorso ai legami di parentela con Giuseppe Scarlino, alias “Pippi Calamita”, storico boss della Sacra corona unita di cui aveva sposato la figlia Luce Tiziana, per creare una sorta di monopolio della gestione dei rifiuti. Il nome del boss, cui Rosafio avrebbe fatto spesso riferimento, sarebbe servito a intimidire le aziende concorrenti, creando una sorta di assoggettamento. L’imputato era stato inoltre interdetto dai pubblici uffici per cinque anni e dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per 4 anni e cinque mesi.

Nei suoi confronti erano stati inoltre applicati i divieti e le decadenze previsti dall’articolo 10 della legge 575 del 1965, riguardante le disposizioni contro la mafia. Tale articolo prevede che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione non possono ottenere: licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; concessioni di costruzione, nonché di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e nell'albo nazionale dei costruttori, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.

Bisognerà ora attendere il deposito delle motivazioni della sentenza per comprendere le ragioni dell’annullamento con rinvio. Poi, sarà fissato un nuovo processo. Con l’aggravante delle modalità mafiose cadrebbero anche gli altri capi d’imputazione, ormai prescritti. Secondo l’accusa il “Gruppo Rosafio” avrebbe operato tra il 2002 e il 2003. Periodo in cui ingenti quantitativi di rifiuti liquidi, anche provenienti da impianti produttivi pericolosi, sarebbero stati smaltiti presso gli impianti di depurazione di Corsano, Presicce, Melendugno, Galatina, Taurisano e soprattutto presso la discarica R.s.u. Monteco di Ugento, non autorizzata a ricevere rifiuti liquidi. In alcuni casi gli scarichi di liquami e reflui sarebbero avvenuti in aperta campagna e su strade di pubblico transito, o addirittura in pozzetti confluenti con la falda acquifera. Secondo il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Elsa Valeria Mignone, al centro della presunta organizzazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti, vi sarebbe stata proprio la figura di Gianluigi Rosafio.

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