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Cronaca

I fratelli Caroppo: "Prestiti, sì. Ma non c'era usura"

Damiano, Massimo e Antonio Caroppo interrogati oggi in carcere dal gip Cinzia Vergione. Hanno confermato di aver prestato denaro a imprenditori in difficoltà, ma senza tassi, minacce ed estorsioni

LECCE - Sono stati interrogati questa mattina in carcere, dal gip Cinzia Vergine, alla presenza dei loro avvocati (Roberto e Luigi Rella), i tre fratelli leccesi, Damiano, Massimo e Antonio Caroppo (quest'ultimo residente però a Castrì) accusati dalla Procura di aver taglieggiato almeno sei imprenditori salentini (tante sono le denunce depositate contro di loro), prestando soldi a usura e arrivando anche alle estorsioni e alle minacce, se non c'era possibilità di far fronte ai pagamenti, con tassi annui, secondo i carabinieri del nucleo investigativo di Lecce ed il pm Alessio Coccioli della Dda, del 120 per cento.

I tre fratelli hanno sostanzialmente confermato di fronte al giudice di aver prestato denaro a imprenditori in difficoltà economica, ma senza pretendere la restituzione con interessi e, soprattutto, escludendo qualsiasi minaccia o estorsione a loro carico. I fratelli Caroppo, come noto, sono stati arrestati all'alba del 3 maggio. Per gli investigatori, la vicenda sarebbe andata avanti a partire almeno dal 2009. Oltre che di usura ed estorsione, i tre rispondono di esercizio abusivo del credito, reato satellite, con l'aggravante delle modalità mafiose. Sono ritenuti personaggi vicini agli ambienti della criminalità organizzata. Le indagini si sono avvalse di intercettazioni e di pedinamenti, e sono partite quando un imprenditore del settore dell'edilizia stradale s'è convinto a sporgere denuncia, dopo aver ricevuto un primo prestito di 40mila euro, con restituzione il mese successivo, levitato, a suo dire, fino a 44mila euro. E con l'innescarsi di una spirale torbida.

Sulla scorta della prima denuncia, anche altre presunte vittime (due dello stesso settore, edilizia stradale, ma anche il titolare di un supermercato e due commercianti di autovetture nuove e usate) hanno iniziato a collaborare con la giustizia. Non potendo pagare gli interessi, i denunciati hanno spiegato ai carabinieri di essere stati minacciati.

Addirittura, in qualche caso sarebbe stato richiesto di cedere i propri automezzi, del valore di decine di migliaia di euro, per poter poi saldare il debito. Durante le perquisizioni, è stata trovata diversa documentazione d'interesse investigativo. Assegni, ma anche un appunto con l'elenco dei già citati mezzi, che sarebbero stati visionati dai fratelli, nel corso di un sopralluogo in un cantiere.

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