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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca

Inchiesta sulla morte di una 40enne con 12 indagati, gli atti tornano in Procura

Si è chiusa in un nulla di fatto l’udienza preliminare sul decesso della giovane mamma di Monteroni avvenuta il 23 novembre del 2020. La giudice ha rilevato “lacune” nel capo d’imputazione

LECCE - Torna ai nastri di partenza il procedimento penale sulla morte di una 40enne di Monteroni avvenuta il 23 novembre del 2020, in cui sono indagati 12 medici dell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce.

L’udienza preliminare a carico dei “camici bianchi” accusati di omicidio colposo e responsabilità colposa per morte in ambito sanitario si è chiusa in un nulla di fatto. Oggi, la giudice Giulia Proto, chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, ha rilevato, su sollecitazione delle difese, “lacune” nel capo d’imputazione, in particolare in merito alle condotte avute dai singoli imputati nella vicenda e l’eventuale collegamento tra queste e il decesso.

Gli atti sono stati così ritrasmessi alla Procura.

A dare il via all’inchiesta fu la denuncia sporta dal marito della defunta, assistito dall’avvocata Viola Messa, in cui si riferiva che la donna arrivò in ospedale il 31 gennaio del 2020 per una colica renale, ma fu dimessa e tre giorni dopo e ritornò in condizioni ancor più gravi, l’8 febbraio seguente, al punto che finì in coma senza risvegliarsi più.

Stando agli accertamenti svolti in seguito dalla sostituta procuratrice Paola Gugliemi, due medici del pronto soccorso, al momento del primo accesso della 40enne, non avrebbero valutato correttamente la sua condizione, e nonostante vi fossero già gli indicatori per eseguire una tac urgente con osservazione ospedaliera, finalizzata a individuare le cause della mancata eliminazione del calcolo, l’avrebbero rimandata a casa prescrivendole l’esame secondo i tempi ordinari di prenotazione.

Le condizioni sarebbero dunque peggiorate, tanto che il 3 febbraio la malcapitata sarebbe stata accompagnata nuovamente dal 118 nel nosocomio del capoluogo. In questa circostanza, dopo cinque ore d’attesa, sarebbe stata sottoposta alla tac che avrebbe evidenziato un’avanzata sofferenza renale, in considerazione della quale fu disposto il ricovero nel reparto di urologia. Qui, altri otto medici avrebbero trattato, secondo l’accusa, in modo inadeguato la conseguente infezione purulenta del tratto urinario, cui seguì una coagulopatia e una insufficienza renale acuta da shock che portarono la paziente a una perdita di coscienza, a un successivo stato di coma profondo. Così, fu trasferita presso l’unità di Rianimazione dello stesso presidio ospedaliero e il 16 marzo presso il reparto di terapia intensiva per gravi cerebrolesioni acquisite nella Casa di cura “Villa Verde” a Lecce, dove si spense, lasciando il marito e i suoi due piccoli figli.

I medici sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Luigi Covella, Pantaleo Cannoletta e Massimo Manfreda.

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