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Cronaca

La cronaca del 2015: il latitante in fuga, nepotismo criminale e l'emergenza Xylella

Dalla spettacolare evasione dell'ergastolano Fabio Perrone (ancora ricercato) alla rinascita di alcuni clan della Scu per mano dei figli dei vecchi boss, fino all'attualissima emergenza Xylella, la cronaca dimostra come oggi più che mai l'attenzione della magistratura sul territorio debba essere massima

LECCE – Nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità (almeno quello pubblico, consultabile sul sito del ministero dell’Interno), il suo nome per ora non compare. Si tratta, con ogni probabilità, solo di una questione temporale. L’ultimo aggiornamento risale, infatti, al 27 maggio 2015, cinque mesi prima della spettacolare evasione di Fabio Antonio Perrone, ergastolano 42enne di Trepuzzi. La mattina del 6 novembre Perrone era stato trasportato sotto la scorta di due agenti della penitenziaria (altri due erano impegnati con un secondo detenuto e l’autista nel furgone) dal carcere di Borgo San Nicola nel reparto di Chirurgia endoscopica del “Vito Fazzi” per essere sottoposto a colonscopia. Privato delle manette, con una mossa repentina aveva strappato la pistola d’ordinanza dalla fondina di uno degli agenti, ingaggiando un cruento conflitto a fuoco, ferendo gravemente di uno dei due a una gamba e di striscio un anziano. Poi, come nella più classica delle scene cinematografiche, era fuggito prima per le scale e poi rubando l’auto a una donna che si trovava nel parcheggio.

Da quella mattinata di sangue e terrore di Perrone, alias “Triglietta”, si sono perse le tracce. Presto il suo volto dallo sguardo gelido potrebbe finire tra quelli selezionati dal gruppo integrato interforze (Giirl) per il programma speciale di ricerca dei latitanti, tra boss di camorra, mafia e ‘ndrangheta come Marco Di Lauro, Matteo Messina Denaro e Rocco Morabito. Un IMG-20151106-WA0041-6pool di investigatori che lavora a livello centrale, di concerto con gli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri (guidato dal capitano Biagio Marro) e di una sorta di sezione “catturandi” della questura di Lecce, che continua incessantemente a dare la caccia al latitante.

Perrone è stato condannato all’ergastolo il 23 giugno scorso, con rito abbreviato, per l’omicidio di Fatmir Makovic, 45enne montenegrino residente nel campo “Panareo”, e il tentato omicidio del figlio, avvenuti il 29 marzo 2014 in un bar di Trepuzzi per motivi mai del tutto chiariti. Alle spalle, oltre un passato fatto di Scu, ha una condanna a diciotto anni per associazione mafiosa, armi e droga. Armato, pericoloso e pronto a tutto, ha già dimostrato in passato di sapersi muovere bene anche sotto la pressione psicologica di frenetiche indagini e ricerche in corso. Due mesi di latitanza che sembrano aver dimostrato come la fuga dell’ergastolano (il cui processo d’appello è fissato per il primo febbraio) sia collocabile in un contesto di appoggi e fiancheggiatori di cui il 42enne sembra godere. Un alto spessore criminale quello del latitante, tornato nel Salento per imporre (forse) una legge fatta di terrore e sangue.

Se l’evasione di Perrone è stato il fatto di cronaca forse più eclatante del 2015, le recenti inchieste giudiziarie (da “Baia verde ultimo atto” a “Coltura”) hanno dimostrato come alla guida dei clan vi sia ormai la seconda generazione delle famiglie della Scu, da sempre legate a vincoli di stretta parentela e di nepotismo. Un assioma tracciato già alcuni anni fa dal procuratore Cataldo Motta, l’uomo che nell’ultimo quarto di secolo ha condotto in prima linea la guerra alla criminalità organizzata salentina. La presunta rinascita di due storici clan come i Padovano e i Giannelli (da sempre alleati) con le figure di Angelo Padovano e Marco Antonio Giannelli, dimostra come la teoria del nepotismo criminale sia valida e attuale.

Non solo sangue, droga, estorsioni e proiettili però nella storia e nelle cronache dell’ultimo anno. La grande emergenza che ha rischiato e rischia di modificare il territorio si chiama Xylella. Un nxylella tagli (9)-3emico invisibile che gli ultimi sviluppi giudiziari hanno evidenziato non essere il principale pericolo per gli ulivi salentini. Nell’ordinanza di convalida di sequestro firmata dal gip alcide Maritati (su richiesta della Procura) si indica come le misure adottate dall’ex Commissario straordinario siano state una “macrospica violazione di legge” e “i cosiddetti Piani Silletti abusivi”. Quarantaquattro pagine che non soltanto riconoscono più che fondate le conclusioni degli inquirenti, ma vanno oltre. Annotando strane coincidenze e strani interessi. “Servono più convincenti studi e approfondimenti scientifici sulla Sindrome di disseccamento rapido degli ulivi' (Codiro) in provincia di Lecce e Brindisi – si legge – e ci si deve affidare a esperti, anche internazionali, soprattutto evitando il coinvolgimento di persone o soggetti giuridici che possono aver avuto un ruolo nei fatti su cui si indaga”. L’ultimo atto (per ora) di una querelle che ha già visto l’iscrizione nel registro degli indagati di dieci persone (tra cui lo stesso Silletti) e in cui è stato necessario l’intervento della magistratura per salvare il simbolo di una regione. 

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