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Cronaca Centro / Piazza Sant'Oronzo

Colpo alla Bnl, scoperta la banda del caveau: in quattro agli arresti

La sera dell’11 novembre 2018 fu scoperto uno dei furti più audaci mai tentati, nel pieno centro di Lecce, per un danno da circa 1 milione di euro. In manette oggi per quel caso tre vegliesi e un uomo di Formia

LECCE – Quattro erano stati i borsoni ritrovati, con dentro oggetti d’oro, denaro e arnesi da scasso. E quattro sono stati anche gli arresti eseguiti questa notte dalla polizia. Ci sono voluti due anni di indagini e riscontri, ma alla fine la Squadra mobile di Lecce è riuscita a ricostruire in ogni dettaglio tutto il copione dietro a uno dei colpi più audaci mai tentati: quello al caveau della Banca nazionale del lavoro, in piazza Sant’Oronzo. Di quella vicenda, risponderanno davanti alla giustizia Piero Fiore, 47enne di Veglie, Luciano Romano, 44enne di origine napoletana e residente a Formia (Latina), Salvatore Mazzotta, 51enne di Veglie e Marco Salvatore Zecca, 46enne di Veglie. I primi due sono finiti in carcere, gli altri si trovano ai domiciliari.

Erano le 19 di una domenica sera di novembre, l’11 per la precisione, e correva l’anno 2018 quando i vigilanti de La Fenice scoprirono l’intrusione. Il Covid-19 non esisteva nemmeno nella mente di Dio, quindi doveva essere stato uno di quei classici week-end di movida sfrenata, nel cuore della capitale del barocco. Eppure, nonostante la Bnl sorga esattamente al centro di questo moto ininterrotto verso negozi e bar, e, nelle ore notturne dell’epoca pre-coronavirus, anche ristoranti, pizzerie e pub, nessuno, nelle ore precedenti, doveva essersi accorto di movimenti sospetti. Veri “professionisti del crimine”, chinati a tavolino per studiare ogni minuzia pur di provare a mettere in tasca un bottino stratosferico, in questo caso calcolato attorno a 1 milione di euro. E forse davvero senza contare nemmeno su basisti, come ipotizzato all’inizio.

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Le indagini della Squadra mobile salentina, che hanno lavorato nella risoluzione del caso con il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, sotto il coordinamento del sostituto procuratore Maria Vallefuoco, sono state lunghe e difficili. Però, fin dalle prime battute, gli investigatori hanno potuto contare su una serie di ritrovamenti, compresa una sacca contenente urina. Segno chiaro che la banda doveva essere rimasta per lungo tempo nascosta negli scantinati, al buio. E, grazie anche agli specialisti della scientifica, partendo dal materiale sequestrato sul posto, si è ricostruito un profilo genetico. Profilo che risponderebbe a quello di Piero Fiore.

I poliziotti hanno capito subito che la banda non era certo composta da pivellini, visto anche l’alto profilo dell’obiettivo. Alcuni dovevano avere conoscenze di rilievo nel campo dell’allarmistica. L’impianto, infatti, era stato del tutto neutralizzato. E la porta di accesso ai locali davanti al caveau contenente oggetti preziosi aperta, così come quella blindata di accesso al vano. Con tanto di violazione di diverse cassette. In apparenza, tutto senza alcuna forzatura.

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Sul pavimento, davanti al caveau, nel giorno del sopralluogo i poliziotti avevano trovato quattro borsoni contenenti arnesi da scasso, gioielli e denaro, più altri vuoti, abbandonati a causa di qualche imprevisto. I ladri erano stati costretti a una fuga repentina, probabilmente per l'arrivo della vigilanza privata allertata dalla direzione della Bnl dopo il prolungato distacco di rete. Le ricostruzioni successive hanno consentito di scoprire come uno o più malviventi, di venerdì, prima che chiudesse la filiale, fossero riusciti ad avere accesso all’area del caveau. Rimanendo chiusi all’interno, circondati da preziosi. A pochi centimetri dal traguardo, ma costretti ad attendere: ci vuole una certa dose di pazienza e ancor più di sangue freddo. 

Lo strano caso del furto nella Bnl di Lecce

Ad avvalorare l’ipotesi, la presenza, all’interno, di un armadio metallico semivuoto, capace di contenere una persona di media altezza, facendo in modo che la sua presenza non fosse rilevata dai sensori di movimento. Non solo. Evidente è risultata anche la manomissione del sistema time look che non consente l’apertura della porta blindata prima di un dato orario, in questo caso impostato con quello di apertura degli uffici. In tal modo, i complici sarebbero stati in grado di aprire la porta corazzata. Durante il sopralluogo, era stato anche riscontrato come fossero stati tranciati i cavi di trasmissione del segnale degli impianti al router Umts, che consente il trasferimento dei dati dell’allarme e del sistema di videosorveglianza verso l’esterno in caso di assenza di rete.

Un primo spunto è nato dall’analisi delle immagini delle varie telecamere di sorveglianza della città. A partire da quelle della zona intorno alla banca, per poi ampliare il cerchio, in conseguenza dell’emergere di nuovi indizi, sino a estrapolare le immagini degli “occhi elettronici” posti in punti di transito strategici della città. Un’attività di analisi che ha consentito di isolare alcuni veicoli, visti muoversi nei giorni d’interesse in varie zone di Lecce, sempre l’uno dietro l’altro.

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Tre sono state le vetture finite sotto la lente: un furgone Fiat Doblò bianco intestato al figlio di Fiore, una Fiat Punto, anch’essa bianca, intestata a una società campana e, infine, una Peugeot 1007, intestata alla moglie di Luciano Romano. Fiore e Romano, peraltro, sono risultati già noti alle forze dell’ordine per altri episodi criminali. A quel punto, le indagini si sono concentrate sempre più verso queste due figure e le persone che più erano loro vicine. E una serie di attività tecniche ha permesso di acquisire precisi elementi di prova anche in capo agli altri coinvolti. Tutto supportato dalla comparazione con il profilo genetico estratto sul materiale sequestrato la sera stessa dell’11 novembre 2018 con quello di Piero Fiore, consentendo al pubblico ministero di richiedere al giudice per le indagini preliminari le quattro misure cautelari.

Mazzotta è stato scovato a Linz e bloccato grazie alla collaborazione con la polizia austriaca. Romano, invece, è stato prelevato dalla sua abitazione di Formia, in la collaborazione con il Commissariato locale. Gli altri due erano nel Salento. Fra l'altro, in casa di Zecca, ritenuto l'informatico del gruppo, è stata effettuata una perquisizione insieme con la Polizia postale e delle comunicazioni della sezione di Lecce, durante la quale sono stati sequestrati svariati hard disk  e apparecchi cellulari. Si chiude così, almeno per ora, il cerchio su uno dei più eclatanti casi di cronaca degli ultimi anni. Sì, quasi il soggetto da cui trarre spunto per un film. 

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