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Cronaca

Omicidio Giannone: ergastolo per l'uomo che diede la pistola a Monaco

Il verdetto emesso dai giudici della Corte d'Assise di Lecce nel processo a carico di Franco Ventura, 41enne, accusato di concorso nell'omicidio del venticinquenne ucciso con due colpi alla testa il 6 aprile 2009 in via Terni

LECCE – Ergastolo: è questo il verdetto emesso dai giudici della Corte d'Assise di Lecce (presidente Roberto Tanisi) nel processo a carico di Franco Ventura, 41enne, di Cassano d'Adda, in provincia di Milano, accusato di concorso nell’omicidio di Antonio Giannone, il venticinquenne ucciso con due colpi alla testa il 6 aprile 2009 nei pressi dell'appartamento della sua compagna a Lecce. Un omicidio eseguito da  Giampaolo Monaco, alias “Gianni Coda”, ex killer della Scu, evaso ai primi di aprile del 2009 da un appartamento di Torino, dov'era segretamente recluso ai domiciliari, poiché collaboratore di giustizia, per assassinare il 25enne. Sarebbe stato proprio Ventura, a procurargli l'arma del delitto e a offrirgli protezione durante la latitanza.

Lo stesso Monaco, elemento vicino al clan Cerfeda e ritenuto da fonti investigative uno degli elementi più pericolosi della Sacra corona unita, aveva raccontato ai giudici nel corso di una precedente udienza, senza alcuna emozione, tutti i dettagli di un omicidio preparato in ogni particolare. Ad armare la mano dell’uomo sarebbe stata l’ennesima “infamità” ai danni del fratello, Mirko Monaco: “Mi telefonò dicendomi che Giannone lo aveva picchiato rompendogli il naso. Io gli dissi che non si sarebbe dovuto più preoccupare, avrei pensato a tutto io”.

“Coda” si sarebbe subito adoperato per trovare un’arma, telefonando ai suoi vecchi compagni di “sventura”, come lui stesso gli ha definiti. Monaco aveva quindi raccontato di aver contattato Franco Ventura, conosciuto tempo addietro nel carcere di Ferrara, spiegandogli che voleva vendicare la sua famiglia. “Ventura – aveva dichiarato il teste – si è subito offerto di aiutarmi, anche nell’eseguire l'omicidio, ma io ho rifiutato. Allora lui mi ha raggiunto a Torino, dove mi trovavo in regime di detenzione domiciliare, per consegnarmi l'arma, una calibro 9 parabellum”.

Giampaolo Monaco.-3-2-2Dieci giorni dopo, la sera del 5 aprile 2009, Monaco partì in treno per Lecce con il fratello. La sera del 6 si sarebbe quindi recato da solo, con la macchina della sorella, a casa della compagna di Giannone, indicatagli sempre dal fratello. “L'intenzione – aveva aggiunto tranquillamente Monaco – era quella di ammazzarli tutti, ma una volta salito con l'ascensore al sesto piano della palazzina in via Terni, alla periferia di Lecce, mi sono trovato di fronte Giannone. Ho sparato due colpi: il primo al mento, il secondo quando era già a terra per finirlo”. La mamma della vittima, sconvolta dal terribile racconto, aveva abbandonato l’aula.

La testimonianza era poi proseguita con i dettagli della fuga da Lecce. Monaco avrebbe raggiunto Ventura a Fano, dove i due si sarebbero liberati dell’arma. Il presunto complice gli avrebbe anche procurato una nuova carta d'identità. Dopo alcuni giorni il killer avrebbe raggiunto Bologna, dove fu poi arrestato, dagli agenti della Squadra mobile di Lecce in collaborazione con gli agenti emiliani, il 4 maggio del 2009. Subito dopo la cattura rese piena confessione dell’omicidio. Una confessione ripetuta poi in aula, con il racconto di una vendetta terribile e spietata, secondo la fredda logica delle leggi criminali.

Un racconto ritenuto attendibile dai giudici che, anche sulla base di altre prove e riscontri, hanno condannato l’imputato al carcere a vita, oltre che a risarcire le parti civili, assistiti dall’avvocato Francesco Maggiore. Si tratta, in particolare, dei genitori della vittima (per cui è stata riconosciuta una provvisionale di 100mial euro ciascuno) e il fratello (per lui la cifra stabilita è di 50mila euro).

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