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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca Gallipoli

Padovano, l'ordine di uccidere partì da suo fratello

Le rivelazioni del sicario, un siciliano che abita al Nord: sarebbe Rosario Padovano il mandante dell'omicidio di "Nino Bomba". Arrestati da polizia e carabinieri anche un cugino ed un altro uomo

GALLIPOLI - Anche i sicari hanno paura. Carmine Mendolia, 31 anni, chiare origini siciliane, trapiantato a Busto Arsizio, ha vuotato il sacco quando ha avuto la netta intuizione che da carnefice sarebbe potuto diventare la prossima vittima. Era diventato scomodo, sapeva troppo, aveva fatto troppo. Ed è stato, per la Procura di Lecce e per gli investigatori, come fare improvvisamente luce su alcuni dei lati più oscuri della giovane storia della criminalità organizzata salentina. Che sia la chiave di volta per leggere alcuni tra gli episodi più sanguinosi degli ultimi dieci anni? La Sacra corona unita non ha radici profonde, ma è cresciuta rapidamente come un tumore maligno nel cuore del Salento, prima che con precisione chirurgica arrivassero gli arresti che a cavallo tra gli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio, hanno impresso una svolta, bloccato l'emorragia di stragi. Non è morta, però, la Scu. Per alcuni aspetti s'è rigenerata, è modificata. Ha cambiato il tiro. Alzandolo. Ha indossato una giacca ed una cravatta ed ha spostato l'attenzione su nuovi poli d'attrazione. Meno cadaveri, più fiuto per gli affari.

Salvatore Padovano, 48 anni nel giorno della sua esecuzione, ritenuto capo storico dell'omonimo clan reggente a Gallipoli e dintorni, potrebbe rientrare nella classifica degli innovatori. Per il procuratore capo Cataldo Motta, che ha nella mente un quadro nitido di tutte le evoluzioni della Scu, era proprio uno di quelli che avevano alzato il tiro. Niente più droga sulla piazza locale. Basta stupefacenti su Gallipoli. Anche perché si trascinano dietro le forze dell'ordine. A smerciare cocaina, eroina, hashish, si lasciano troppe tracce. Vent'anni di galera, poi il ritorno a casa sotto una nuova veste. Un libro già edito, la passione per la letteratura. "E comportamenti da boss", ha sottolineato Motta nel corso di una conferenza stampa che si è svolta questa mattina nel suo ufficio, presso la Procura di Lecce. "Dettava gli ordini e si stava concentrando sul settore immobiliare. Forse voleva una riduzione dell'attenzione da parte delle forze dell'ordine". E si può rinunciare a qualcosa di produttivo come il mercato del vizio, se ci sono altri sistemi per fare soldi. Per esempio, il controllo delle aste giudiziarie. Andando contro il fratello. Contro altri esponenti della famiglia. Che la via della droga non avrebbero voluto lasciare.

E' in seno agli ambienti più stretti che sarebbe maturato il suo delitto. Mandante, secondo le rivelazioni di Mendolia, Pompeo Rosario Padovano, 38 anni. Con ruoli diversi svolti da chi avrebbe saputo. Sarebbero in tanti, per la verità, anche se al momento mancano riscontri. Più di quanti al momento sono in carcere, dunque (dodici sono, infatti, gli indagati totali). E cioè, oltre al fratello di Salvatore Padovano, "Nino Bomba", com'era conosciuto, anche Fabio Della Ducata, di 46 anni, ed un cugino, Giorgio Pianoforte, 43enne. Della Ducata avrebbe avuto una funzione logistica. Il cugino, avrebbe giocato un ruolo determinante. Chiamando "Nino Bomba" fuori dal suo negozio di frutti di mare, dove la mattina del 6 settembre del 2008, intorno alle 10,30, rimase travolto da una raffica di proiettili alla testa. La simulazione di un incidente stradale, la Bmw colpita da uno scooter. Fuori c'era Mendolia, casco sul volto, pistola in mano. Una trappola.

LE RIVELAZIONI

Polizia e carabinieri - quel giorno, sul posto, intervennero gli agenti del commissariato e i militari della compagnia di Gallipoli - avevano intuito subito che l'esecuzione poteva essere maturata in un contesto famigliare, interno al clan. Ma mancavano all'appello quei dettagli che chiudono un'indagine. Come avere di fronte un puzzle di cui s'intuisce già abbastanza chiaramente la figura, ma senza i tasselli risolutivi. L'attività d'inchiesta è stata portata avanti dalle due forze con il coordinamento della Dda di Lecce. Ma solo le dichiarazioni di Mendolia, diventato collaboratore di giustizia nel timore di ritorsioni per sé e per la propria famiglia, hanno dato un'accelerata definitiva. Il 9 aprile scorso è stato arrestato con le accuse di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco dalla polizia, in provincia di Varese. E si fa risalire a quella data l'avvio del suo contributo.

Reo confesso dell'omicidio di Salvatore Padovano, addosso gli hanno ritrovato un pistola 7.65. Un'arma che ha raccontato di aver effettivamente portato con sé quel giorno, davanti alla pescheria "Paradiso del mare", lungo la Gallipoli-Santa Maria al Bagno. Ma non sarebbe stata quella usata per sparare alla testa del boss. Una sorta di riserva, qualora avesse avuto inconvenienti, magari si fosse inceppata. La pistola dell'omicidio, una semiautomatica Beretta, calibro 9 corto, con matricola abrasa, era stata ceduta ad un suo amico. Il killer ha detto anche dove ritrovarla. Il giorno successivo, è stata rinvenuta in possesso della persona da lui citata, a Gallarate. I riscontri della scientifica hanno dimostrato come non mentisse. Era la bocca di fuoco rivolta contro Padovano. Gli investigatori hanno dunque ritenuto che le sue dichiarazioni fossero da assumere con la massima serietà.

Mendolia, che avrebbe tra l'altro trasgredito ad un ordine impartito proprio dal presunto mandante dell'assassinio del fratello, ovvero proprio quello di sbarazzarsi delle pistole, avrebbe agito sotto la promessa di un compenso di 10mila euro ed un'auto, una Bmw. Promesse in parte mantenute. A parte l'auto, sulla quale sarebbe fuggito, su 10mila euro, 6mila sarebbero effettivamente stati ottenuti. Il siciliano trapiantato in Lombardia ha anche fatto rivelazioni scottanti, tutte però da verificare. Ha sostenuto di aver conosciuto la famiglia Padovano in occasione di un altro omicidio, quello di Renè Greco, avvenuto nell'agosto del 1990, sempre - a suo dire -, eseguito su mandato di Rosario Padovano, che avrebbe rivisto ancora una volta nell'agosto del 2008, durante un soggiorno per villeggiatura a Gallipoli. Un mese prima dell'agguato mortale, quindi. Ed avrebbe accettato l'incarico.

L'OMIDICIO E GLI ARRESTI

Cinque colpi d'arma da fuoco, tre dei quali letali. Tanti sarebbero stati esplosi quella mattina davanti alla pescheria di Pianoforte. Il sicario arrivò a bordo di uno scooter Yamaha Majestic, ritrovato successivamente a circa un chilometro di distanza dal luogo dell'agguato, in località Rivabella. Era un sabato mattina. Salvatore Padovano si era recato dal cugino per acquistare del pesce. Sarebbe stato chiamato proprio da lui all'esterno del locale. Un urto accidentale tra lo scooter e la Bmw di Padovano, posteggiata vicino all'ingresso. Proprio il fatto che ad attirarlo fosse stata una voce conosciuta, non gli diede scampo. Non dovette certo pensare ad un inganno mortale, in quei tremendi istanti che precedettero gli spari. E invece, ad attenderlo, fuori, quell'uomo con il casco calato sul volto. I colpi, sordi, vibrarono nell'aria. Poi, la fuga, sempre sullo scooter, abbandonato per scomparire nel nulla. Mendolia rientrò in Lombardia.

Il fratello come mandante, il cugino come esca, Della Ducata tra i fornitori di supporto (si sospetta che possa aver avuto un ruolo nel procurare i mezzi e le armi). Sono questi tre dei ruoli chiave, secondo gli investigatori. Tutto scaturito nell'ambito del clan di appartenenza della vittima, perché Rosario Padovano potesse subentrare al fratello maggiore nella leadership dell'organizzazione mafiosa e acquisire la totale disponibilità e la gestione di molteplici interessi economici. Nel corso dell'operazione, che ha comportato l'impiego di numerosi agenti e carabinieri del Ros, con elicotteri delle due forze di polizia, sono state anche eseguite perquisizioni a carico degli altri indagati ed effettuati numerosi interrogatori. Gli arrestati, presi alle prime ore del mattino di oggi, si trovano al momento presso la casa circondariale di Lecce. E la sensazione è che la trama possa essere più complessa e ancora tutta da scrivere.

MANTOVANO: "CHI SI MUOVE IN AREA GRIGIA ABBANDONI PROSPETTIVE DI COLLUSIONE"

"L'individuazione e l'arresto dei presunti responsabili dell'omicidio di Salvatore Padovano non è soltanto l'efficace risposta delle forze di polizia e dell'autorità giudiziaria a un delitto che poco più di un anno fa ha scosso la comunità salentina; è anche la concreta dimostrazione che ogni tentativo teso a riprendere un controllo più ampio del territorio da parte di soggetti che ruotavano nell'ambito della sacra corona unita è destinato al fallimento". Questo il commento arrivato da Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni. "Ciò - aggiunge, in conclusione - dovrebbe indurre chi ancora si muove in un'area grigia ad abbandonare anche solo per un calcolo di convenienza ogni prospettiva di collusione".

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