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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca Squinzano

“Per me, disabile, non c’è posto in prima fila nella società”

Un ragazzo disabile, che continua a fare i conti coi pregiudizi e i deficit della società sul tema della piena integrazione. Lo spunto viene da un recente episodio, connesso alla sua grande passione, che lo ha visto protagonista

SQUINZANO - Le barriere sono principalmente un fatto mentale. Covano nell’ignoranza, crescono nel pregiudizio e si prolungano in qualcosa di fisico a cui convenzionalmente si aggiunge l’aggettivo “architettoniche”. Quante parole si sprecano attorno al tema, puntando costantemente l’indice sulla necessità di migliorare la qualità della vita di queste persone. Eppure la strada della vera “integrazione” (altro concetto che nasconde marca la differenziazione, come se si trattasse di una comunità “aliena” da quella “normale) dei diversamente abili sembra piuttosto lunga. Lo confermano le storie, che quasi quotidianamente si registrano nelle cronache, e le testimonianze che si raccolgono.

Diego è un ragazzo di Squinzano. Ha una "minuscola azienda agricola" e un amore per la produzione dell’olio. Nei suoi 33 anni, ha imparato a coltivare soprattutto il sorriso, anche dinanzi a quella disabilità che gli compromette il coordinamento degli arti e non gli permette di deambulare facilmente. In buona sostanza, ha bisogno di un punto di appoggio, spesso fisico, per potersi muovere. Ma il buonumore non l’ha perso. Anzi, dice persino di godersi fiero le sue “ridotte”, ma “pregiatissime” capacità motorie.

Di recente ha scoperto una passione che lo rilassa e lo fa stare bene: il teatro, un’arte antica, ma sempre affascinante. Che, però, ha potuto gustare poche volte, nonostante quella volontà profonda di dedicare il suo tempo a questa esperienza. Perché esiste il sogno, una componente che permette di sollevarsi oltre la realtà, in volo, anche se si hanno gambe stanche, che faticano a reggere il peso del corpo. Ma poi c’è pure la realtà, un binario troppo spesso lontano da ciò che è racchiuso nella propria immaginazione.

Per soddisfare il proprio desiderio, Diego deve affidarsi ovviamente ad un accompagnatore: logica vorrebbe che, a teatro, ci siano sconti sui costi o agevolazioni logistiche per i disabili. Ma nella realtà, anche i disabili non sono proprio tutti uguali. Il 12 gennaio scorso, il giovane decide di andare al Teatro Team di Bari per la messa in scena di un classico della letteratura, “I Promessi sposi”. Già in fase di prenotazione, però, emergono le prime puntualizzazioni “discriminatorie” nei confronti dei diversamente abili.

“Lei è una persona sulla sedia a rotelle?” – chiede l’operatore in maniera piuttosto brusca. Pratica, direbbe qualcuno. È questione di forma, si penserebbe. Ma spesso la forma è anche sostanza. Diego risponde che ha una minima capacità motoria. All’operatore, però, non interessa quanto sia “minima”, l’importante è che non sia “massima”. Qui, è questione di sostanza, che gioca con la forma.

Ed ecco la prima “batosta”. L’operatore spiega che le “persone disabili” che “non sono su sedia” pagano il biglietto intero per sé e per il proprio accompagnatore. Che detto in maniera più sottile, puntualizzando sulla forma, significa che per “essere disabili” occorre necessariamente essere seduti su una sedia a rotelle. E, detto in maniera più brusca, andando alla sostanza, significa “monetizzare la poltrona”, senza nemmeno una riduzione sul costo del biglietto.

Ma siccome lo spettacolo è di quelli che Diego non vuole perdere decide di goderselo comunque ed acquista un biglietto in poltronissima per il proprio accompagnatore, nonostante il “signor costo” di 45 euro. Mettendo da parte le “ridotte”, ma “pregiatissime” capacità motorie, Diego rispolvera la sedia a rotelle, con l’auspicio che possa godersi nelle immediate vicinanze del proprio accompagnatore lo spettacolo. In genere, accade così. Ma le sorprese non finiscono davvero mai.

La sera del 12 gennaio, dopo aver percorso 150 km in auto, Diego e il suo accompagnatore arrivano al teatro con il desiderio più che giustificato di godersi lo spettacolo tanto atteso in una posizione “privilegiata”. Tuttavia, le avvisaglie sono quelle di una serata che si preannuncia “movimentata”. All’ingresso, gli uomini dello staff, chiedono il pagamento di 5 euro per il posto della macchina. Nonostante gli si faccia notare che nella vettura ci sia un disabile, uno degli uomini della sicurezza ribatte: “Qui pagano tutti”. Ah, ecco. Nel senso che sul pagamento, effettivamente le discriminazioni non esistono. Dopo un lungo battibecco, facendo valere i propri diritti, Diego riesce ad evitare di esborsare questa somma e ad entrare in teatro. Il peggio sembrerebbe passato.

Arrivato in sala, però, viene letteralmente costretto a vedere lo spettacolo all’ingresso della stessa, senza avere la possibilità di condividere le emozioni col suo amico accompagnatore. Ufficialmente per questioni di sicurezza, perché stando vicino alla porta, sarebbe “facilitata” la via di fuga: “Solo che – spiega – senza un accompagnatore in realtà la mia sicurezza è ipotetica”.

“Mi sono sentito – racconta - messo ai margini della società cosiddetta perbene. Troppo spesso è questo il ruolo che occupano i disabili più in generale nella odierna società italiana, ossia essere collocati frequentemente, per non dire sempre, ai margini”. E solo perché, come lui stesso afferma, “il teatro non può rinunciare all’incasso di una poltrona”. “Di cuore ringrazio – lo dice con amarezza – tutto lo staff del teatro per l’accoglienza che mi ha riservato”.

Diego chiede lumi su chi debba vigilare su certe situazioni e se, in definitiva, le grandi strutture non possano assolutamente predisporre delle agevolazioni di posti reali per i disabili. Il problema è che ad ogni latitudine la situazione non appare tanto diversa. Anche alla Focara di Novoli, ad esempio, Diego ha vissuto qualche disagio logistico con il parcheggio: “I responsabili del traffico si sono limitati a dirmi di parcheggiare dove trovavo posto. Ma nelle mie condizioni non posso pensare di vivere un’odissea anche per un parcheggio, laddove tra l’altro dovrebbe essermi garantito”. “Molti miei amici disabili ormai – continua il suo racconto - si sono arresi all’evidenza e se ne stanno a casa. Ma abbiamo diritto a vivere anche noi”.

Purtroppo, il dramma è che bisogna fare i conti con una forma mentis pregiudiziale e difficile da scardinare: “Ricordo che in un tavolo tecnico, organizzato a Lecce, sul tema della viabilità per i diversamente abili, il comandante dei vigili continuava a parlare solo delle cifre dei pass dei falsi invalidi. Non metto in dubbio che il problema esista, solo che forse non si rendeva conto che a quel tavolo eravamo seduti in tre. Ed eravamo veri disabili”. Sembrerebbe forma, ma di fatto è sostanza.

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