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Cronaca

Prostituzione nei centri massaggi, condannato un docente universitario

Tre anni e quattro mesi la pena inflitta a Wenchang Chu detto Vincenzo, 57 anni, docente nel corso di laurea in fisica a Lecce

LECCE – Un volume d’affari stimato di oltre 150mila euro al mese, sfruttando i ricavi di un vasto giro di prostituzione tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto. L’operazione “Peonia rossa” (dal nome del centro benessere che faceva da base alle attività del gruppo), condotta dagli agenti della squadra mobile di Brindisi, guidata dal vice questore Nicola Somma, scattò all’alba del 16 settembre 2015. La polizia sgominò una presunta gang cinese dedita allo sfruttamento della prostituzione.

Tra i membri dell’associazione anche alcuni insospettabili. In particolare, tra i promotori dell’organizzazione, un docente universitario. Si tratta del cinese Wenchang Chu detto Vincenzo, 57 anni, professore associato presso l’Università del Salento e docente nel corso di laurea in fisica a Lecce. Chu (assistito dall’avvocato Fabio Di Bello) è stato condannato a 3 anni e quattro mesi al termine del giudizio con rito abbreviato dinanzi al gup Paola Liaci. Stessa pena per altre due imputate: Lijuan Yu, chiamata Sofia, e Changyu Zhu alias Giada. Per tutti il giudice ha Il gup ha riconosciuto la continuazione e concesso le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti.

Ha patteggiato la stessa pena Liping Wang, 46 anni, detta Franca, difesa dall’avvocato Giovanna Corrado. Al centro dell’inchiesta tre centri per messaggi: Peonia Rossa in via Grazia Balsamo, a Brindisi; e Ninfea Orientale, a Lecce e Gallipoli. Furono dieci le ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura di Brindisi, cinque, invece, le persone denunciate a piede libero. La lunga e complessa attività d’indagine condotta dalla questura di Brindisi e coordinata dal pubblico ministero Savina Toscani, consentì di delineare e scardinare una vera e propria associazione a delinquere dedita allo sfruttamento, all’induzione ed al favoreggiamento della prostituzione di giovani ragazze orientali, costrette con violenza e minacce a esercitare il meretricio. Per chi osava ribellarsi e non intendeva sottostare alle rigide regole imposte dal gruppo, oltre ai maltrattamenti e alle intimidazioni, vi era la minaccia di ritorsioni (anche di morte) per i parenti rimasti in Cina. Il denaro sarebbe stato trasferito in Cina “attraverso l’uso di passaporti esibiti in fotocopia”.

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