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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Smaltimento illecito di liquami: quindici le condanne

Si è chiuso il giudizio di primo grado nei confronti dei titolari della ditta di smaltimento dei rifiuti "Rosafio Srl" che, insieme ad altri 33 imputati erano coinvolti in un traffico illecito

LECCE - E' stato letto nel tardo pomeriggio il dispositivo con cui si è chiuso il giudizio di primo grado nei confronti dei titolari della ditta di smaltimento dei rifiuti "Rosafio srl" che, insieme ad altri 33 imputati erano coinvolti, a vario titolo, in una vicenda riguardante il traffico illecito di rifiuti. Nella scorsa udienza, il pubblico Ministero Elsa Valeria Mignone aveva invocato complessivamente per tutti gli imputati, ad eccezione di alcuni autisti di camion per i quali era stata chiesta l'intervenuta prescrizione del reato, 84 anni di carcere. Le indagini, condotte dai carabinieri della compagnia di Tricase e dalla locale tenenza della guardia di finanza, avrebbero accertato dal marzo 2002 al marzo 2003 una'ttività di smaltimento illecito di rifiuti: in particolare, le ditte del gruppo Rosafio avrebbero prelevato direttamente ingenti quantitativi di rifiuti, pericolosi e non, direttamente dai produttori per poi trasportarli nei vari impianti di depurazione di Corsano, Presicce, Melendugno, Galatina , Taurisano e presso la discarica Monteco di Ugento, ponendo in essere una serie di attività finalizzate allo smaltimento abusivo dei suddetti.

I rifiuti liquidi sarebbero stati scaricati in aperta campagna e sulle strade pubbliche di passaggio, all'interno della discarica Monteco, che non possedeva le autorizzazioni necessarie per lo smaltimento di quel tipo di rifiuti. Luogo di scarico era anche una vasca che si trovava in alcuni immobili di proprietà dei Rosafio, dotata di un foro attraverso il quale i liquidi in questione venivano riversati in una falda ed in un pozzetto, sempre di proprietà privata, che però confluivano nella falda acquifera sottostante. I Rosafio avrebbero sbaragliato la concorrenza grazie anche alla stretta parentela con Giuseppe Scarlino, detto "Pippi Calamita", presunto boss della Sacra corona unita, la cui figlia aveva sposato Gianluigi Rosafio, ed il cui nome veniva usato per assicurarsi il monopolio delle attività nel settore. Un altro filone dell'inchiesta, invece, riguarda i presunti favori che tre carabinieri della compagnia di Tricase avrebbero fatto ai Rosafio: per loro l'accusa era di corruzione per aver omesso i controlli sulle attività illecite della ditta e per aver effettuato al contrario controlli capillari nei confronti delle aziende concorrenti, tramite pedinamenti, sequestri ed appostamenti, ricevendo come ricompensa macchine, telefoni cellulari e cene pagate.

I giudici della seconda sezione penale, presidente Pietro Baffa, a latere Michele Toriello e Giuseppe Biondi, hanno condannato a sette anni e due mesi di reclusione Gianluigi Rosafio, gestore della ditta insieme alla moglie Luce Tiziana Scarlino, condannata a nove mesi; cinque anni e sei mesi per Rocco Rosafio, titolare dell'azienda; Vito Nicolì, Fabio Botrugno, Giovanni Oliva, rispettivamente operai e responsabile del depuratore di Corsano, condannati a due anni e due mesi; per Marcello Contaldi, autista dei Rosafio, un anno e sei mesi; Antonio Rosafio, Rodrigo e Cosimo D'Amico, Rossano Manco, Enzo Frisullo, Daniele Longo e Maurizio Rosario Sabato ad un anno di reclusione. Prescrizione ed assoluzioni per non aver commesso il fatto, invece, per Italo Forina, Dino Alfarano, Mirko Pagliara, Maurizio Crispino, Donato Cera, Giovanni Greco, Patrizio Palma, Giuseppe Aleadri, Rocco Grecuccio, Daniele Longo, Gianluca Monti, Graziano Nestola e Luigi Stefani. Assoluzione piena, perché il fatto non sussiste, per Gianluigi Rosafio e Roberto Gugliandolo per imputazioni di corruzione, escluse quelle relativa allo svuotamento gratuito dei pozzi neri.

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