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Flash mob dei precari della ricerca. Adi: “La legge di stabilità ci danneggia”

I dottori e dottorandi dell’associazione Adi hanno organizzato un flash mob contro la legge di stabilità che stabilisce dei criteri di finanziamento della ricerca “discriminatori e penalizzanti per gli atenei più deboli”. I precari: “Fino a quando riusciremo a tollerare?”

LECCE – Ancora proteste contro la legge di stabilità voluta dal governo Renzi. Questa volta è toccato ai dottorati e dottorandi dell’ Adi che hanno organizzato ieri, in tutta Italia, un flash mob per dire ‘no’ alle norme sul reclutamento e sul finanziamento di università e ricerca contenute nel disegno di legge, coinvolgendo nella mobilitazione tutti i precari della ricerca.

A Lecce il flash mob si é svolto nell'atrio del rettorato, in contemporanea con la riunione del senato accademico, ed ha visto la partecipazione di dottorandi, studenti, assegnisti e personale tecnico-amministrativo:  "Le norme contenute nella legge di stabilità – ha spiegato Enrico Consoli, coordinatore di Adi Lecce - non rappresentano quell'inversione di tendenza che servirebbe per valorizzare la ricerca accademica ma, anzi, una visione del mondo della conoscenza fondata sulla precarietà senza sbocchi".

Con il disegno di legge di stabilità, secondo l’associazione, l’esecutivo intende promuovere criteri di finanziamento del sistema universitario “pesantemente discriminatori”, che penalizzeranno ancora di più gli atenei "periferici" come quello salentino, mentre in contemporanea si presenta come un provvedimento per la ripresa del reclutamento un pannicello caldo che non risolve la questione.

"Il recupero del 100 per cento dei punti organico dei ricercatori a tempo determinato di tipo A cessati nell'anno precedente  - sostiene Adi - non può essere considerata una soluzione concreta al problema dei bassi livelli di reclutamento di ricercatori in Italia: in primo luogo perché essa farà sentire i suoi effetti solo a partire dal 2016, quando i primi contingenti di RTDa (ricercatori a tempo determinato di tipo a) di una qualche entità termineranno il loro percorso; in secondo luogo, questa misura avrà un impatto molto disomogeneo sulle diverse realtà accademiche regionali, visto che nel 2013 ci siano state intere regioni in cui le università hanno reclutato pochissimi RTDa o non li hanno reclutati affatto”.

Il governo sembra ignorare l'elemento centrale della questione e cioè che, sempre nel 2013, le 3 regioni che hanno reclutato più RTDa detenevano da sole il 50 percento dei posti messi a bando in tutta Italia: “Ancora una volta si sceglie di aiutare solo le poche realtà accademiche forti del Paese, trascurando l’impatto sul sistema accademico nel suo complesso".

E ancora con le norme previste dalla legge di stabilità, secondo Adi, le università si orienteranno sempre di più verso il reclutamento di ricercatori a tempo determinato di tipo A, meno protetta perché sprovvista del meccanismo della cosiddetta "tenure track" che impone un equilibrio fra i concorsi per docenti strutturati e il numero di postazioni da ricercatore a tempo determinato di tipo B: “Un ulteriore passo verso la precarizzazione di un mondo, quello della ricerca, in cui il 96,6 per cento degli assegnisti di ricerca rischia l'espulsione dal mondo accademico nel giro di pochi anni, come risulta dall'Indagine annuale Adi su dottorato e post-doc”.

“Utili, pazienti e bastonati”: così si sentono i ricercatori che si chiedono fino a quando “riusciranno a tollerare tutto questo”. 

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