rotate-mobile
La riflessione

Gestione del patrimonio, qualità del turismo: i casi di Brescia e Lecce a confronto

Cercare altrove spunti e pratiche da imitare per rompere la retorica del sole, del mare e del vento. La necessità di una governance efficiente, l'importanza di una tradizione civica di impegno verso una responsabilità condivisa

LECCE – Abituato a cercare oltre i confini del Salento, sole mare e vento, spunti di riflessione e pratiche da mutuare sono rimasto favorevolmente impressionato da alcune cose che ho visto a Brescia, in un soggiorno di tre giorni costruito attorno all’esigenza, molto pratica e poco culturale, di seguire la partita del Lecce a Monza.

Si potrebbe dire tanto sulle differenze che risaltano agli occhi e molte di queste sarebbero fin troppo ovvie. Mi soffermo, dunque, su un aspetto, quello della gestione del patrimonio storico della città, grande due volte Lecce. La conservazione e la valorizzazione delle risorse architettoniche, artistiche e archeologiche è, infatti, una questione strategica in tema di attrattività e altrettanto importante è il grado di integrazione dei servizi connessi che si offrono ai visitatori per la fruizione dei beni.

Nel complesso la città storica è davvero molto bella, ma sembra volersi preservare dai grandi circuiti del turismo di massa: conoscete qualcuno che vi abbia mai detto quanto è affascinante Brescia? In caso affermativo, siete tra i pochi. Appropriata appare la scelta di aver affidato alla Fondazione Brescia Musei la gestione del Museo di Santa Giulia, della Pinacoteca Tosio Martinengo, del Castello, del Parco Archeologico di Brescia Romana (sotto, la foto del santuario e da non perdere è la statua in bronzo della Vittoria Alata) e anche del Nuovo Cinema Eden, una sala d’essai nel quartiere del Carmine. C’è un numero telefonico per il centro unico di prenotazioni e il sito è chiaramente organizzato e aggiornato, con tutte le informazioni del caso.

IMG_20220226_102233-2

La fondazione è nata ufficialmente nel 2007, ma dal 2003 esisteva come società per azioni nata per volontà del Comune, della locale Camera di commercio e di due fondazioni: quella collegata all’Azienda Servizi Municipalizzati e quella del Credito Agrario Bresciano. Ci sono poi molti partner istituzionali, dalle università – la Cattolica e quella di Brescia – alle associazioni di categoria (Confindustria, Coldiretti) e una sfilza di donatori che include il meglio dell’imprenditoria locale. Esiste, insomma, una rete di attori che condividono una responsabilità.

Tutta l’area bresciana, del resto, vanta un potenziale economico notevole ma anche una tradizione di civismo per la quale i ceti più abbienti si sono sempre impegnati in attività di restituzione e di sostegno alla collettività meno fortunata, per esempio proprio attraverso le fondazioni, bancarie e non. C’è poi una impronta molto tangibile di quel cattolicesimo democratico rappresentato nel Novecento da personaggi come papa Montini (Paolo VI) e Mino Martinazzoli (sotto, la foto di Piazza della Loggia).

IMG_20220225_162043-2

La differenza di contesto con le nostre latitudini deve essere chiara, perché non si devono inseguire le chimere: non si può cambiare la storia di un territorio né da un giorno all’altro aumentare il reddito pro capite dei suoi abitanti, ma iniziare dalle piccole cose può essere un buon allenamento verso standard migliori.

Si può pensare per esempio, e dico una cosa facile facile, che sul territorio di Lecce si possa avere un biglietto integrato, o un sistema combinato di scontistica, per l’accesso ai musei e ai monumenti, indipendentemente dall’ente che li gestisce? Da qualche anno esiste il circuito di LeccEcclesiae, giusta intuizione della curia per i beni di sua competenze e quell’esperienza dovrebbe essere estesa, perché tanto, troppo resta ancora disconnesso: cito il Must (che finalmente sta diventando un contenitore museale interessante), il Museo “Sigismondo Castromediano”, il Castello Carlo V, le Mura Urbiche, il Parco Archeologico di Rudiae, il Teatro e l’Anfiteatro Romano, ma anche il Museo ferroviario e potrei aggiungere quelle iniziative private come la Fondazione Biscozzi Rimbaud che devono essere benedette perché provano a colmare un vuoto significativo, quello lasciato dalla cosiddetta élite sociale ed economica leccese il cui massimo sforzo sembra essere quello delle attività caritatevoli.

Viene poi anche da chiedersi perché non si inseriscano in un circuito di visite permanenti i siti universitari come l’ex convento degli Olivetani, perché almeno nella bella stagione non ci siano linee dedicate per il trasporto all’Abbazia di Cerrate (ora ottimamente gestita dal Fai) e al Parco Archeologico di Rudiae, due gioielli senza paragoni nell’offerta culturale del territorio del capoluogo. Sono molti i quesiti che si affacciano, in ordine sparso, e il comun denominatore sembra essere la consapevolezza di essere parecchio indietro.

La valorizzazione e la custodia di questa immensa ricchezza, attorno alla quale si può costruire un modello di sviluppo lungimirante, è un dovere al quale non ci si può sottrarre: un dovere che riguarda il privato non meno del pubblico, al quale vengono di solito attribuite tutte le responsabilità in quell’ottica tutta di matrice assistenzialistica che ancora ammorba una buona parte della “società civile”, ma anche del ceto intellettuale, tradizionalmente avulso dal resto della città.

Una gestione virtuosa, comprensibile e di facile fruizione per il visitatore, passa necessariamente attraverso la creazione di una rete che metta insieme, in un sistema di governance efficiente, tutti gli attori coinvolti, senza gelosie e senza rivendicazioni di stampo proprietario. Migliorare la gestione della proposta culturale significa poter modulare la declinazione del modello turistico: quello di massa che negli ultimi anni sembra prepotentemente imporsi, con un centro storico saturo di strutture ricettive, ristoranti e locali pubblici, non è l'unico possibile. Può e deve esisterne un altro sostenibile, selettivo in senso culturale (non di censo), calibrato sulla fragilità di alcuni suoi equilibri (tra residenti e operatori del food, per esempio), delle sue bellezze che meritano premure. 

Lecce è stata Capitale italiana della Cultura nel 2015, Brescia lo sarà nel 2023: può essere utile guardare a quell'esperienza lombarda per correggere la rotta. Finché si è in tempo. Si può fare ottimo turismo anche rinunciando alla tentazione, troppo diffusa, del tutto e subito, perché poi il rischio è che restino solo le macerie di un sogno, con i profitti concentrati nella mani di pochi. Che, di solito, sono quelli che più si lamentano.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Gestione del patrimonio, qualità del turismo: i casi di Brescia e Lecce a confronto

LeccePrima è in caricamento