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Domenica, 28 Aprile 2024
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La dura verità e il dovere di parlarne perché la morte di un 16enne non sia vana

È stata una scelta difficile quella di raccontare che un minore è deceduto per un mix di sostanze. Ma nel bilanciamento di interessi, esiste quello collettivo a conoscere i fatti. Che la tragedia sia un monito per tutti

Nessuno dovrebbe morire da solo, per strada, senza nemmeno il conforto di un volto amico accanto, una mano da stringere negli ultimi istanti. Nessuno. Men che meno un 16enne che si sta appena affacciando alla vita. Quella vita che una sorte irriverente ha voluto strappare a un ragazzo proprio nel giorno del suo compleanno. Rendendo tutta la vicenda ancor più inaccettabile, straziante.

La verità può essere amara e violenta come un pugno nella bocca dello stomaco. Ma deve essere raccontata. E qualcuno deve farlo. La verità ha un valore, serve a metterci a confronto con le nostre ansie e paure, a farci ragionare, a capire i nostri sbagli. La verità serve per crescere, maturare, aprendo uno squarcio nel torpore delle nostre esistenze, che spesso scorrono fingendo di non vedere cosa accade intorno. La verità serve ad aprire un dibattito. E della diffusione delle sostanze stupefacenti fra ragazzi sempre più giovani, se ne parla molto meno di quanto si dovrebbe. Per pudore, forse più per il timore di scavare nel sommerso e sapere già cosa verrà a galla.  

Risale all’alba dell’8 novembre scorso il ritrovamento del corpo del giovane liceale sul nudo asfalto di via Duca d’Aosta, accanto alla sua bicicletta. Una storia che ha messo i brividi.

Tutti ricorderanno che, nei giorni seguenti, quella morte è stata l’argomento più dibattuto in ogni angolo di Lecce. Non c’era un bar in cui si entrasse, in cui qualcuno non ne stesse parlando, magari sfogliando un giornale o leggendo sullo smartphone e scuotendo la testa.

I cronisti scafati, quelli più bravi di noi, ricordano che i protagonisti delle cronache, specie quando i fatti sono eclatanti, non appartengono più, solo, alla famiglia d’origine. Finiscono per appartenere a tutta la comunità. Ed ecco che quel 16enne, nella notizia che rimbalzava da un lato all’altro del Salento, è diventato strada facendo il figlio, il fratello, il cugino, il nipote, l’amico di tutti. E tutti hanno chiesto di sapere la verità.

Alla fine, la verità è emersa. E non fa piacere a nessuno. Per primo a chi ha dovuta narrarla, i giornalisti che, mettendosi davanti alla tastiera, si sono posti la domanda: è necessario? E la risposta è stata: sì, è necessario.

La verità è crudele e dolorosa, ma non c’è nulla di morboso nel riferirla. Dietro a tutto c’è quello che molti già sospettavano, pur non avendo ancora solide certezze: un abuso di sostanze che ha spremuto un giovane cuore fino a spegnerlo per sempre. E la morte di questo ragazzo di 16 anni, che doveva essere speciale, visto che i suoi amici e i compagni di scuola l’hanno commemorato per settimane, non sarà un sacrificio vano se servirà a tanti suoi coetanei ad aprire gli occhi. E a fermarsi ora, prima che sia troppo tardi. Senza troppi giri di parole. Perché la verità deve essere diretta, non un vuoto esercizio di circonlocuzioni.  

Non abbiamo indagato nella vita di questo ragazzo per sapere se quell’abuso sia stato un fatto episodico e, purtroppo, fatale, o se il problema si trascinasse da tempo. Non è un compito che spetta a noi e non ci permetteremmo mai. Siamo rimasti sulla superficie della notizia.  Com’era doveroso che fosse. Affrontando solo gli aspetti salienti, raccontando ciò che aveva un fondamento: la morte e le sue cause. Stop.

Però, diciamo anche questo: tutti siamo stati giovani e sappiamo che fino a una certa età, fino ai vent’anni e magari un po’ di più, vi è un lungo momento di esaltazione, entusiasmo per la vita, in cui ci sentiamo inaffondabili, dotati di uno scudo invisibile frutto di esuberanza ed energia infinita. La morte è un pensiero remoto, qualcosa che in quel periodo pensiamo non possa mai arrivare così presto. Finché non ci sfiora sul serio, con un “preavviso”.

Più di qualcuno, scavando nel profondo dei ricordi, ritroverà magari quel preciso momento in cui un fatto, un episodio, che ha riguardato direttamente noi o qualcuno molto vicino a noi, ha fatto da spartiacque fra un prima e un dopo, ci ha aperto gli occhi. Magari quella volta che avevamo bevuto davvero troppo e l’auto si è ribaltata. O quell’altra che eravamo allo stadio, avevamo deciso che i tifosi avversari non ci piacevano e ci siamo messi a fare botte come animali, rischiando una coltellata o un pesante sasso in testa.

Ci potrebbero essere infiniti esempi pratici da fare, anche più drammatici, in cui amici d’infanzia, per una stupidaggine, per quel senso di temerarietà e voglia di sfida che anima la gioventù, hanno perso la vita. Persone che portiamo nei nostri ricordi e che ci hanno fatto crescere, insegnandoci con la loro morte che non dovevamo emularli.

Quindi, sì, per quanto possa non piacerci e, sicuramente, portare un ulteriore carico di dolore per una famiglia, e di questo ci dispiace molto (e lo diciamo con totale sincerità), con onestà intellettuale dobbiamo anche ribadire che raccontare la verità è importante. A volte, un preciso dovere.

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