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Martedì, 30 Aprile 2024
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Da terra promessa a girone dantesco: il turismo di agosto è insostenibile per il territorio

L'estate della ripartenza è stata quella del liberi tutti. E un Salento fragile dal punto di vista ambientale ha mostrato la corda: erosione costiera, incendi, sovraffollamento nelle marine e nei centri storici. Controlli insufficienti, non c'è una visione pubblica per governare i flussi

LECCE - L’accanimento continuo e spudorato contro le risorse naturali è stato il tratto distintivo dell’estate che si avvia lentamente a conclusione.

La sempre frequentata e riverita scuola del profitto-come-volano-dello-sviluppo ha le sue oggettive ragioni per celebrarla come la stagione dalle uova d’oro, ma due sono le domande che ci si pone nell’ottica di una valutazione complessiva: quanto il volume d’affari generato abbia effetti distributivi sul territorio, la prima (il lavoro viene pagato adeguatamente?); quanto sia alto il prezzo da pagare in termine di tutela ambientale, la seconda.

Sono bruciati la macchia mediterranea e gli alberi, soprattutto ulivi (per preparare il terreno del dopo xylella), avanza a vista d’occhio l’erosione costiera che ha fatto crollare le falesie e che “mangia” le spiagge, tanto di quelle libere chissenefrega, l’importante è occupare ogni metro quadrato possibile con gli ombrelloni degli stabilimenti (poche ed encomiabili le eccezioni). L’antropizzazione del litorale è un problema diffuso su entrambi i versanti: la baia di Torre dell’Orso e Porto Cesareo sono due facce della stessa medaglia.

Dune e pinete sono state quotidianamente violentate dall’accesso delle auto – talvolta addirittura autorizzato -, mentre i controlli sono stati, come del resto ogni anno, insufficienti davanti alla mole di interventi che sarebbe stato necessario fare. Diciamolo pure, sembra quasi che ci sia una sorta di resa volontaria delle istituzioni, che le azioni di vigilanza o repressione si facciano con una attitudine inerziale, giusto perché devono essere fatte.

Le acque di balneazione hanno registrato continue incursioni di barche a motore prese a noleggio da giovani e incauti turisti intenti a stappare bottiglie e postare stories su Instagram piuttosto che a rispettare le regole basilari della navigazione. Un fiorente business sta prendendo piede mentre, impotenti, ci accingiamo ad assistere alla trasformazione delle acque costiere in una sorta di tangenziale, ignorando il fatto che anche le barche inquinano e che il mare, per quanto esteso, sia una risorsa comunque limitata e con equilibri molto delicati.

L’aumento esponenziale della popolazione durante il periodo estivo, con case vacanze affittate a un numero doppio o triplo di quello consentito, da fenomeno tipicamente gallipolino si è esteso ad altre non distanti località, con tutti i conseguenti problemi di sostenibilità e di ordine pubblico. Da questo punto di vista il litorale ionico è più in sofferenza: per Porto Cesareo si è resa necessaria una riunione in prefettura – il 19 agosto, fate un po’ voi -, mentre il nome di Santa Caterina, preziosa località neretina storicamente votata alla villeggiatura, è comparso in più circostanze in cronaca a causa di sanzioni comminate ai gestori di alcuni stabilimenti per violazioni notturne delle regole anti assembramento.

Doveva essere l’estate della ripartenza, in realtà è stata quella del “liberi tutti”: di alzare i prezzi fino a quote sconcertanti per ombrelloni lettini e parcheggi; di colonizzare strade, piazze e ogni metro calpestabile con tavolini e sedie, grazie alle deroghe accordate dal governo per sostenere il settore della ristorazione e dei locali pubblici in generale, (come lo scorso anno). Peccato che non tutti gli esercenti abbiano ricambiato le attenzioni loro riservate: i loro rifiuti sono stati conferiti spesso come capitava, senza rispetto per i calendari di raccolta e per il decoro delle strade.

Un’estate extralarge, malata di gigantismo, quella che sta volgendo al termine.  Non è ancora abbastanza chiaro che esiste un carico di rottura nel meccanismo degli equilibri del territorio che non può essere superato?

La narrazione di questo tema, che negli ultimi dieci anni è diventato anche un problema, è condizionata dall’influenza della retorica sviluppista delle forze economiche e anche delle parti sociali. La classe politica, quasi tutta ossessionata dall’ossessione per la riconferma, ascolta e prende appunti: sa che dal consenso di quel mondo dipende tanto della propria continuità.

L’assunto di base di questa scuola di pensiero è molto semplice: aumenta la domanda? Bene, evviva, aumentiamo l’offerta: costruiamo altre strade a quattro corsie, nuovi porti, residence e resort. Facciamo girare le ruote del sistema degli appalti. Intanto finanziamo le manifestazioni, patrociniamo i festival e i premi – per lo più una partita di giro per arricchire il curriculum delle relazioni e il prestigio sociale -, parliamo il linguaggio della sostenibilità perché è politicamente corretto.

A questa che è una vera e propria egemonia culturale nel dibattito, si contrappone una critica di impronta bucolica e nostalgica, disorganizzata, confinata alla dimensione virtuale ma abbastanza chiaramente avviata verso una sorta di luddismo, cioè di insofferenza per gli ospiti (nei centri storici, per esempio, si hanno da tempo delle avvisaglie). È una risposta, questa, istintiva, ma antistorica e anche ingannevole: grosso modo, infatti, affonda le sue radici nello stesso terreno calpestato dall’accumulatore seriale di profitto: l’individualismo. Mi accorgo che c’è un problema perché sono entrati in casa mia. Oppure: mi interessa solo che le cose vadano bene per me. Sono due facce della stessa medaglia.

Nel mezzo è abbastanza evidente la mancanza di un’analisi indipendente, fondata sull'intreccio tra le discipline e, soprattutto, capace di orientare le politiche pubbliche: solo debole e frammentato il contributo di Unisalento, pigro e sporadico quello degli organi di informazione, insufficiente quello dell’associazionismo che continua a patire uno dei vizi storico di questo territorio, la propensione a farsi la guerra più che a fare rete.

Il Salento leccese non era l’Eden prima, quando si celebravano le magnifiche sorti e progressive a furia di copertine e aggettivi superlativi, ma servirebbe un atto di amore e responsabilità perché non diventi un girone dantesco. A nessuna delle parti in causa – istituzioni, portatori di interesse, cittadinanza - giova un territorio che collassa su stesso e sulle sue contraddizioni, tra quest’ultime il vistoso deficit di competenze e qualità dei servizi che ancora esiste e prolifera tra improvvisazione e una malcelata dose di malizia, ma anche la latitanza di una visione manageriale.

Il rischio di bruciare in un ciclo di pochi anni la prospettiva di uno sviluppo turistico coerente con le possibilità e i limiti del territorio, che non ha risorse inesauribili né spazi infiniti, è ora più serio che mai. Evocato più volte nel recente passato, ha fatto vedere di cosa è capace. Sarebbe ora che qualcuno se ne rendesse conto, lì, nella stanza dei bottoni. Celebrare la crescita dei numeri di arrivi e pernottamenti (i primi dati, diffusi nelle scorse ore dall'Osservatorio regionale sul turismo e relativi ai primi sette mesi dell'anno, sono già parecchio eclatanti) si può rivelare un esercizio di puro autolesionismo, se vengono considerati come gli unici parametri di orientamento. Esattamente come - è un esempio - misurare il successo della Notte della Taranta solo in termini di audience.

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