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Cronaca

Patti con pubblica amministrazione e condizionamento sociale: la vitalità del clan Coluccia

Dagli anni Settanta punto di riferimento della malavita locale. La capacità di avvicinare anche le amministrazioni riporta alla memoria l’altra operazione, la “Contatto” del 2017, che coinvolse alcuni indagati ritenuti vicini a “Michelino” Coluccia

LECCE – Forza intimidatrice combinata ad assoggettamento e tanta omertà attorno, nel pieno rispetto della “tradizione” del clan Coluccia, dagli anni Settanta punto di riferimento della malavita nell’hinterland galatinese. Strutturato in modo rigidamente verticistico, il gruppo vedrebbe all’apice della piramide i due noti esponenti della Sacra corona unita, Michele e Antonio Coluccia. I quali, tornati in libertà, hanno ripreso sotto il proprio coordinamento la cabina di regia degli affari commerciali ed economici del territorio, come hanno dimostrato le misure cautelari emesse nelle scorse ore. Nonostante le varie vicissitudini e misure giudiziarie nel tempo, la vitalità del clan non sembra aver subito alcun contraccolpo nell’ambito del controllo e dell’egemonia sul luogo.

Diversi i ruoli ricoperti dagli indagati coinvolti nell’attività di indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, ma tutti accomunati dalla subalternità al boss, Michele. Come evidenziano anche le diverse intercettazioni. L’indagato di origini iraniane avrebbe infatti seguito le direttive impartitegli da Coluccia. Sorta di esattore addetto alla consegna dei prestiti e alla riscossione degli interessi, Fahrangi avrebbe dichiarato: “Io purtroppo non mi comando da solo”. Queste le parole intercettate nella conversazione con una delle vittime di usura.

Imprenditori e commercianti costretti a subire il metodo estorsivo al momento della restituzione delle somme. Le minacce di violenza, velate ed esplicite, sono infatti emerse in più occasioni durante le intercettazioni effettuate dagli investigatori dell’Arma nel corso di due anni di indagini. “… Tu oggi mi rispetti, mi trovi duemila euro entro le sette e entro le sette me le dai! Vai, denunciami, se no vai a denunciarmi ai carabinieri... tuo figlio non mi risponde, questo cornuto e pezzo di merda mi sta rimandando, entro le sette voglio duemila euro miei, soldi miei, non li ho dati a usura, non l'ho dati a niente, ve li ho prestati e voi mi state prendendo per culo dite: ... questo è scemo ... questo è cugghiune, questo è straniero, prendiamolo per culo come vogliamo, ma non hai capito niente ragioniere, stasera mi devi dare i soldi ragioniere!”, è uno degli esempi degli scambi verbali con una delle vittime.

Estratti di telefonate che, fra l’altro, stanno creando non pochi “disagi” all’amministrazione comunale di Neviano, per via dei voti che sarebbero stati comprati da uno degli assessori, Antonio Megha, nell’ultima tornata elettorale per il rinnovo della giunta. Le indagini hanno acceso i riflettori sulla capacità del gruppo di “penetrare l’apparato politico-amministrativo, stringendo patti con pubblici amministratori, collocando all’interno di esso propri uomini, condizionandone l’operato nel proprio interesse”. Il riferimento è relativo soprattutto alla vicenda che riguarda appunto Megha, ex primo cittadino nevianese e attualmente esponente della giunta con diverse deleghe, accusato di aver stretto degli accordi con il clan, riconoscendogli la capacità di procacciare consenso sociale utile alla tornata elettorale del 2020.

Un quadro che richiama alla memoria l’operazione “Contatto” del 2017, nella quale il clan Coluccia fu preso di mira dall’Arma dei carabinieri con accuse analoghe. Le conversazioni registrate tra l’ex sindaco ed ex consigliere provinciale, nello specifico, avrebbero fatto emergere la ricerca di appoggio di Megha lanciata al clan previo pagamento di circa tremila euro e  tramite la presunta mediazione di Giangreco. È a quest’ultimo e a Michele Coluccia che viene infatti imputato il reato di scambio politico mafioso nei riguardi di Megha.

In realtà, il timore è che l’infiltrazione possa essere di più ampia gittata. A disposizione degli inquirenti vi sono infatti diversi elementi a carico anche di altri individui che avrebbero assunto condotte illecite durante la campagna elettorale. Comportamenti per i quali non sono stati per il momento ravvisati elementi di procedibilità penale ma che dimostrano come le elezioni di Neviano siano state connotate “dalla forte propensione dei candidati a mercanteggiare la funzione pubblica per interessi personali, con un inevitabile riverbero sull’intero apparato politico amministrativo costituitosi all’esito del voto”, si legge nell’ordinanza a firma del gip Tosi.

Tuttavia non ci sono solo i tremila euro per un pacchetto di 50 voti. Megha avrebbe infatti garantito, qualora fosse stato eletto, la propria disponibilità a utilizzare l’incarico pubblico per facilitare le attività del clan (“Quello che devo fare lo faccio…”), rendendosi disposto anche a raggiungere Reggio Calabria per via di una collaborazione con lo studio di un suo collega, come emerge da una conversazione nella mattinata della Vigilia di Natale del 2020, per esprimere obbedienza e disponibilità al boss “Michelino”.

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