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Cronaca

Lacune e misteri di un delitto troppo imperfetto. In attesa del Dna

Nella sequenza di lettura dei bigliettini ritrovati nel piazzale forse un indizio su quella "caccia al tesoro" di cui De Marco dice di non ricordare. Abbiamo provato a formulare alcune ipotesi. Intanto, domani le analisi del Ris

LECCE – La confessione non basta. E nemmeno gli elementi raccolti finora, compresi quelli già solidi. I fotogrammi che lo ritraggono nel percorso, la perizia grafologica sui bigliettini insanguinati trovati a terra, la certezza che fosse stato l’ultimo coinquilino della casa, le descrizioni concordanti dei testimoni, sono tutti tasselli che hanno permesso di ricomporre parte sostanziale della vicenda. Fino a incastrare Antonio De Marco, lo studente di Scienze infermieristiche di Casarano, trascinato in carcere per il duplice omicidio di Daniele De Santis, 33enne di Lecce, e della fidanzata Eleonora Manta, 30enne di Seclì. Prima il fermo, poi la convalida dell’arresto. Ma perché abbia agito, ancora non si sa con certezza.

Il suo è stato un feroce assalto con un coltello da caccia che non trova analogie nelle cronache passate del Salento, per un totale di 74 o 75 colpi inferti alle vittime, con una spietatezza tale da far ipotizzare al giudice per le indagini preliminari, Michele Toriello, il rischio di nuove azioni. Finendo così, in via indiretta, per tratteggiare l’identikit di un possibile serial killer, anche se in fase ancora embrionale. L’autore di un delitto, però, tutt’altro che vicino alla perfezione. Sulla bilancia del diabolico piano, come vedremo dopo, pesano di più le lacune rispetto alla meticolosità con cui sono stati preparati alcuni dettagli.

Un delitto troppo feroce per non avere movente

Il duplice omicidio si è consumato intorno alle 20,45 di lunedì 21 settembre, nell’appartamento di Daniele, nei pressi della stazione ferroviaria del capoluogo, al civico 2 di via Montello. Il nido d’amore in cui, proprio quella sera, era in procinto di iniziare la convivenza con Eleonora, e che invece s’è trasformato in una trappola letale. All’improvviso, mentre stavano finendo di cenare, è piombato nella loro intimità un mostro vestito di nero. E da quel momento, sulla capitale del barocco e sull’intera provincia è calata una cappa surreale che ancora non s’è diradata. Troppo forte, un simile delitto, persino nella terra che ha vissuto l’ondata di paura degli anni più bui e sanguinari della Scu. Incomprensibile, viste le vite irreprensibili delle vittime, tanto da innalzare al livello più alto il coinvolgimento emotivo della comunità.      

Bisogna continuare a scavare, dunque. E a fondo. La ricerca di un movente è fra gli assilli principali degli investigatori dell’Arma, del procuratore Leonardo Leone De Castris e del sostituto procuratore Maria Consolata Moschettini. E il vero motivo che ha armato la mano di De Marco, resta l’argomento di discussione principale anche dello stesso pubblico. Modalità d’esecuzione e una parte notevole del piano, infatti, sono ormai stati ampiamente svelati, ma la sete di verità ancora resta inappagata.

Il Dna come tassello per rinforzare il quadro

Prima di arrivare al movente, però, finora troppo esiguo, talmente sfumato da apparire inconsistente (quel generico e non meglio dipanato fastidio provato per la felicità della coppia, a contrasto dell’infelicità dell’assassino, come da dichiarazioni di quest’ultimo), occorre anche dare all’intero quadro un’ulteriore consistenza granitica. E qui entreranno in campo le analisi del Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri di Roma, che domani inizieranno le verifiche su una mole non indifferente di reperti.

Vi sono oggetti e materiale biologico raccolto sulla scena del crimine, anche sotto le unghie delle vittime, che hanno lottato fino al loro ultimo respiro. E altri reperti raccolti durante le indagini nel corso di attività quotidiane di De Marco. Individuato come il presunto assassino fin quasi da subito e pedinato, i carabinieri hanno potuto raccogliere una banconota da 20 euro da un negozio, dopo l’acquisto di fumetti, ma anche altro materiale da attività più intime. Insieme ai campioni prelevati da lui stesso, ora che è in custodia, si ricaverà e comparerà il Dna.

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E non è tutto. Vi sono da sondare a fondo anche un personal computer, lo smartphone e tre pen drive di De Marco. Si trovavano nell’abitazione che da qualche tempo condivideva con altri coinquilini in via Fleming, a Lecce. Una perizia affidata al consulente della Procura, Silverio Greco. E potrebbe quindi spuntare anche altro a concorrere nella formazione di un movente più solido e realistico. Tutto questo, mentre De Marco ha avuto ieri, sabato 3 ottobre, un primo contatto diretto con un famigliare. Si tratta della sorella maggiore, per la precisione, con cui ha avuto nel carcere di Borgo San Nicola un colloquio durato circa un’ora.

Il mistero della caccia al tesoro

Insomma, il mistero è tutt’altro che sciolto. In questi giorni s’è citata spesso anche una frase scritta su uno dei bigliettini, riguardante una “caccia al tesoro” sulla quale De Marco non ha risposto, trincerandosi dietro al più classico dei “non ricordo”. Le ipotesi sono varie. Si è detto che potrebbe essere stata la volontà di realizzare un macabro rituale, nascondere parti del corpo. Ma potrebbe essere anche altro. Come suggerito da alcuni lettori, partendo dall’omonimo romanzo di Andrea Camilleri (“La caccia al tesoro”, appunto), la preparazione di alcuni indizi da lasciare agli investigatori, formando un’enigmatica pista. Magari, proprio quella scritta da realizzare sul muro – come, non si sa, forse con il sangue, visto che non aveva bombolette spray o pennarelli -, anche questo un aspetto non chiarito, nemmeno sul contenuto.

Per cercare di capire il senso della “caccia al tesoro”, visto che potrebbe essere un elemento chiave nella risoluzione completa del giallo, bisogna però partire da un’indicazione importante: i minuti che l’assassino ha calcolato di voler dedicare, almeno mezzora. E, prima ancora, forse è necessario dare un ordine ai cinque bigliettini rinvenuti e raffrontarli con la deposizione.

Ecco il verbale integrale

“Sono colpevole e ammetto di avere ucciso De Santis Daniele e Manta Eleonora. Sono entrato in casa con le chiavi. Ne avevo una copia che avevo fatto prima di lasciare l’abitazione presa in affitto da novembre fino al lock down. Poi sono ritornato nell’abitazione a luglio rimanendo fino alla metà di agosto 2020.

Durante la permanenza nell’abitazione mi aveva dato fastidio qualcosa. Ho provato e accumulato tanta rabbia che poi è esplosa. Non sono mai stato trattato male. La mia rabbia, forse, era dovuta all’invidia che provavo per la loro relazione…

Non avendo molti amici e per il fatto che trascorro molto tempo in casa da solo mi sono sentito molto triste…

Per uccidere la coppia… ho acquistato il coltello da caccia presso il negozio denominato “zona militare”. Del coltello me ne sono disfatto. Non ricordo quando ho scritto il biglietto né ricordo cosa intendessi dire con “caccia al tesoro”. Altre volte ho sofferto di momenti di rabbia …

Ho scritto solo due giorni prima i biglietti. Sono andato a trovare Daniele ed Eleonora convinto di trovare entrambi. Quando sono entrato in casa i due erano seduti in cucina…

Ho incontrato Daniele nel corridoio il quale si è spaventato perché avevo il passamontagna. Dopo aver avuto una colluttazione con lui li ho uccisi. Quando ho colpito lui ha cercato di aprire la porta per scappare. Ho ucciso prima lei e poi ho colpito nuovamente Daniele. Dopo aver lottato con loro sono andato via senza scappare perché non avevo fiato…

Il passamontagna mi è stato sfilato da Daniele il quale poi mi ha riconosciuto. Ho sentito gridare “Andrea” (si è poi chiarito che era una richiesta d’aiuto a un residente del palazzo, Ndr). Loro non hanno mai pronunciato il mio nome. Indossavo dei guanti che poi si sono strappati perdendone forse uno solo o un frammento.

Dopo aver compiuto il gesto sono tornato a casa mia sita in via Fleming. Ho dormito fino alla mattina successiva. Mi sono disfatto dei vestiti gettandoli in un bidone del secco di un condominio poco distante dall’abitazione. La fodera faceva parte del coltello che ho comprato…

Insieme ai vestiti c’erano le chiavi e il coltello acquistato in contanti. La candeggina l’ho acquistata presso un negozio, quella sera portavo al seguito anche uno zainetto di colore grigio con dentro la candeggina, delle fascette ed il coltello nonché della soda”.

Come leggere i cinque bigliettini?

E ora, i cinque bigliettini ritrovati sulla scena. Quello che segue è l’ordine di rinvenimento. Di sicuro, così vengono elencati e riportati nell’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere. 1- Appena entrato: legare tutti; accendere i fornelli e mettere l’acqua a bollire; scrivere sul muro.

2- Scendi dalla fermata, attraversi e riattraversi in diagonale poco prima del bar; in via Vittorio Veneto c’è il condominio a destra; a fine strada attento di fronte; passare velocemente sul muro alto a sinistra.

3- Pulizia; lei: acqua bollente e candeggina; lui: acqua bollente e candeggina; poco prima di uscire soda.

4- Nastrare le dita; prendere i guanti; coprire la testa; cambio maglietta; vestizione; prendere coltello e fascette; slacciare le scarpe.

5- 1 ora e mezza; 10/15 minuti tortura; 1 ore e 15 minuti; 30 minuti caccia al tesoro; 30 minuti pulizia; 15 minuti controllo generale.

Dovrebbe però essere un’altra la sequenza, a rigor di logica. Abbiamo quindi provato a ricostruirne una, secondo una precisa scansione temporale delle azioni.

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1- 1 ora e mezza; 10/15 minuti tortura; 1 ore e 15 minuti; 30 minuti caccia al tesoro; 30 minuti pulizia; 15 minuti controllo generale. Il cronoprogramma potrebbe essere il primo dei biglietti, poiché dovrebbe riassumere le tempistiche per tutti i passaggi successivi. Solo qui, inoltre, si fa riferimento alla “caccia al tesoro”, che quindi potrebbe essere nascosta nelle fasi successive.

2- Scendi dalla fermata, attraversi e riattraversi in diagonale poco prima del bar; in via Vittorio Veneto c’è il condominio a destra; a fine strada attento di fronte; passare velocemente sul muro alto a sinistra. Questo dovrebbe essere l’arrivo verso il palazzo, la famosa mappa per evitare le videocamere pubbliche e private della zona.

3- Nastrare le dita; prendere i guanti; coprire la testa; cambio maglietta, vestizione; prendere coltello e fascette; slacciare le scarpe. Dovrebbe essere il momento in cui, in qualche modo al riparo da occhi indiscreti, nelle vicinanze del palazzo, l’assassino organizza rapidamente le fasi che precedono l’assalto.

4- Appena entrato: legare tutti; accendere i fornelli e mettere l’acqua a bollire; scrivere sul muro. In queste scarne frasi, la fase dell’omicidio che si lega molto bene a quello che potrebbe essere l’ultimo biglietto. 5- Pulizia; lei: acqua bollente e candeggina; lui: acqua bollente e candeggina; poco prima di uscire soda. Inutile soffermarsi sull’intento.  

Lacune, misteri e azioni da intepretare 

Ponendo che sia questo l’ordine di lettura, fra le prime cose, viene subito spontaneo credere che la “caccia al tesoro” possa essere riferibile all’azione dello scrivere sul muro, per la quale, però, l’assassino calcola un tempo di almeno mezzora. I motivi per cui il lasso di tempo previsto possa essere stato così esteso sono tanti, a partire, per esempio, dall'idea di lasciare più messaggi dentro casa e non solo uno. E la famosa domanda, “da quanto mi stavate pedinando?”, proferita davanti ai carabinieri al momento dell'arresto, sembra suggerire, quasi rafforzare, l'intenzione di una sfida. 

Insomma, potrebbe, come potrebbe non essere, ma un altro aspetto viene alla mente, una volta dato un presunto ordine alla sequenza. L’assassino, almeno da quanto scrive sui biglietti, sembra compiere un errore piuttosto grave, non prevedere una reazione delle vittime. Come se, semplicemente balzare in casa, peraltro in un momento in cui non potevano che essere entrami i fidanzati svegli, avrebbe dovuto paralizzarli. Come se davvero fosse stato possibile bloccare, da solo, due persone, senza lottare, legandole con fascette e impedire che urlassero, attirando l’attenzione dei vicini.   

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Giovandosi di un vantaggio incredibile, il possesso delle chiavi di casa, sarebbe stato più logico entrare in piena notte, in un momento in cui con ogni probabilità le vittime stavano dormendo, cogliendole nel sonno e magari ulteriormente narcotizzandole per immobilizzare con facilità, se è vero che lo scopo doveva essere la tortura fino alla morte e non la “semplice” uccisione.

Insomma, un piano tutt’altro che vicino alla perfezione, con la scelta di un orario assurdo e parecchie altre lacune. E allora, viene da pensare che gli stessi bigliettini non possano essere stati persi nel piazzale, durante la fuga (perché non durante la lotta con le vittime, piuttosto?), ma abbandonati nella volontà di dare vita comunque e in ogni caso, anche se non secondo i piani stabiliti, a quell’assurda caccia al tesoro che avrebbe dovuto condurre, però, a una ricompensa. E cosa, se non la sua stessa cattura? Ricordiamo sempre che c'è un sesto biglietto, trovato in casa. Una sorta di riassunto. Il cui contenuto non conosciamo in termini assoluti.

Ovviamente, sono solo ipotesi.   

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