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Cronaca

Volantinaggio di Fiom all’Alcar. “Rischi anche per l’indotto della Fiat”

Il sindacato dei metalmeccanici di Cgil torna a farsi sentire, in vista dello sciopero. La fabbrica interessata da una riduzione delle commesse. Ma a livello nazionale si rivendica la "mancanza di democrazia e rappresentatività"

LECCE – Fiom Cgil è “fuori” dagli stabilimenti Fiat solo formalmente. Di fatto estromesso (in quanto non firmatario dello specifico contratto che ha ottenuto il solo accordo di Cisl, Uil ed Ugl), il sindacato dei metalmeccanici non rinuncia a dar battaglia anche a Lecce.

Il primo appuntamento in vista dello sciopero di 8 ore indetto il 28 giugno è per oggi, davanti ai cancelli dello stabilimento Alcar, sito nella zona industriale della città. L’operazione di volantinaggio è indirizzata gli operai all’uscita del turno, ed ha lo scopo di sensibilizzarli rispetto ai mille risvolti di un’ annosa vertenza di respiro nazionale.

Non che la fabbrica in questione stia attraversando un periodo di crisi. La preoccupazione del sindacato è di più lungo corso. Alcar srl, presente da oltre un decennio e specializzata nella produzione di benne e macchine movimento terra, da sola rappresenta il 70 percento dell’indotto. Garantendo l’occupazione di circa 270 dipendenti che pure non sono estranei dal ricorso alla cassa integrazione, in base all’andamento della produttività.

Piuttosto è la riduzione delle commesse Fiat ad impensierire il segretario provinciale Salvatore Bergamo: “Questa contrazione è legata ai processi di internalizzazione dei lavoro. La produzione si sta progressivamente spostando all’interno di altri stabilimenti del gruppo automobilistico, generando preoccupazioni sul futuro occupazionale delle piccole e medie imprese collegate”.

Ma a pesare equamente in tutte le fabbriche italiane, da Pomigliano d’Arco a Lecce, sarebbero le decisioni “unilaterali” calate dall’alto. Come le ore di straordinario comandate il sabato. Iniziative su cui il margine di contrattazione degli operai, a detta dello stesso Bergamo, si sarebbe ridotto: “E’ necessario ripristinare le condizioni di democrazia e di rappresentanza all’interno del posto di lavoro. Gli operai sono estromessi dalle decisioni, hanno perso il diritto di votare sui contratti, tant’è vero che non hanno partecipato all’ultimo rinnovo”.

I nodi da sciogliere costituiscono un lungo elenco: dalla mancanza di un piano industriale alla richiesta di attivare i contratti di solidarietà negli stabilimenti, per far rientrare in fabbrica tutti gli operai posti in cassa integrazione.

La mancanza di adeguati investimenti, secondo Fiom Lecce, non è estranea al fallimento del controverso piano “Fabbrica Italia”. Un progetto sfumato, come ammesso dallo stesso amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne, e fondato su una mera dichiarazioni d’intenti.

Presentato due anni fa, il progetto supponeva una crescita dell'azienda, a fronte di un  investimento di 20 miliardi di euro per mantenere la produzione in Italia. All’epoca del referendum (vinto con una maggioranza risicata) nello stabilimento pilota di Pomigliano d’Arco, poi esteso agli altri, Fiom Cgil parlò di un ricatto che sacrificava, sull’altare della produzione, molti dei diritti sanciti nello Statuto dei lavoratori: dalle pause alla malattie, e via dicendo. Consentendone una deroga e creando, a detta del sindacato, un precedente “pericoloso” per le altre imprese nazionali.

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