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Cronaca Rudiae / Via Enrico Fermi

E' spirata Antonietta: sordomuta, fu segregata in una casa. La sua storia indignò Lecce

Antonietta Ginniani è morta a 84 anni in una casa di cura dopo una storia da incubo. Una donna e suo figlio che l'avevano "in consegna" in via Fermi, a Lecce, senza alcun titolo furono denunciati dalla polizia, che liberarono l'anziana da un bagno in cui era reclusa, in mezzo alla sporcizia. Domani i funerali

LECCE – Antonietta Ginniani è morta questa mattina a 84 anni, chiusa nel silenzio ovattato di un’intera vita. Nata sordomuta, è spirata serenamente e accudita con dignità e rispetto in un luogo sicuro, una casa di riposo, dopo aver vissuto – forse neanche consapevole di quello che stava subendo – una sorta di reclusione all’interno del bagno di un appartamento di via Enrico Fermi, a Lecce. Chiusa in mezzo al sudiciume, per giunta con una sorta di guardiano al quale la polizia strappò letteralmente di mano le chiavi, al momento della sua liberazione.

La sua storia ha indignato la città. La “prigionia” terminò la sera del 7 agosto dello scorso anno. Dopo una serie di incredibili vicissitudini (era nata in Istria nel 1931), arrivò a Lecce anni addietro, per finire in un’anonima abitazione di periferia. E la sua esistenza si sarebbe forse conclusa in mezzo al lerciume, se qualche vicino di casa, impietosito dalle lamentele continue, non avesse chiamato il 113 in un rovente pomeriggio d’estate.

Gli agenti di polizia delle volanti, diretti dal vicequestore aggiunto Antonio Ingrosso, e il pubblico ministero Giuseppe Capoccia, che hanno svolto l’inchiesta, hanno ipotizzato per madre e figlio di 66 e 44 anni, i principali artefici della vicenda, l’ipotesi di reato di sequestro di persona. Proprio nei giorni scorsi il magistrato ha invocato per loro il rinvio a giudizio.    

E’ bene ricordare i passi salienti della vicenda. Quel pomeriggio qualcuno telefonò alla centrale operativa della questura, segnalando come in un appartamento al 48 di via Enrico Fermi una donna molto anziana fosse tenuta in condizioni di segregazione. I lamenti sarebbero stati sentiti più volte dalla parte esterna della finestra e le altre persone residenti in casa l’avrebbero spesso abbandonata, recandosi al mare.

I poliziotti raggiunsero subito il luogo e da una finestra al piano terra che si affaccia in un cortile condominiale, fra le fessure della persiana, scoprirono l’effettiva presenza di una donna anziana che si contorceva e che con ampi gesti delle mani lasciava intendere di essere in difficoltà. 

Solo dopo aver citofonato più volte, andò ad aprire il 44enne. Il quale, davanti agli agenti in divisa, si fiondò verso la porta del bagno, per girare un paio di volte la chiave. Un tentativo disperato di non far apparire Antonietta una schiava in prigione. Gli agenti lo bloccarono con le mani ancora sulla maniglia.

Quando aprirono la porta, si presentò ai loro occhi una scena straziante. L’anziana era seduta sul water, in stato confusionale, e in condizioni igieniche indicibili, in mezzo a un fetore nauseante. Il lavello sporco, senza le maniglie dei rubinetti, per impedire che fosse aperta l’acqua. Il bidet, coperto da una tavola di legno assicurata con nastro adesivo. Il water inzaccherato, il piatto doccia inutilizzabile.  E quella povera donna stesa su un piccolo materasso senza lenzuola e cuscini, adagiato su reti di ferro arrugginite. Sul pavimento, un piatto di plastica sporco e sparsi ovunque residui di cibo andati a male.

L’anziana disabile, quella sera stessa, fu trasportata presso l’ospedale di Galatina e ricoverata per accertamenti. Per comunicare con lei fu richiesto l’ausilio di un interprete che conoscesse il linguaggio dei segni, per quanto l’unica cosa che l’anziana riuscisse a esprimere fosse l’elementare bisogno di acqua e cibo. 

I successivi accertamenti permisero di ravvisare presunte responsabilità anche a carico della madre del 44enne, assente al momento del blitz e che si recò in casa solo dopo una telefonata del figlio.

La donna spiegò che l’anziana, da circa quattro anni, le era stata data “in consegna” dall’ex compagno, deceduto di recente. Lei e il figlio maggiore si sarebbero occupati di Antonietta senza alcun reale titolo, ma anche dell’amministrazione della pensione d’invalidità, di circa mille e 200 euro mensili. Gli inquirenti ritengono – ma è quasi lapalissiano - che il loro interesse fosse sostanzialmente legato ai soldi.

Sulle precarie condizioni in cui viveva l’anziana, madre e figlio, imbarazzati, si scaricarono a vicenda le responsabilità, spiegando, in modo fumoso, di occuparsi di lei solo perché senza parenti, e che tutto avrebbero fatto solo nel suo interesse. Il fatto che fosse chiusa in bagno, a loro avviso, solo perché avrebbe potuto rappresentare un pericolo per sé e per gli altri, non essendo autosufficiente. Dissero anche che ciò questo sarebbe avvenuto soltanto in alcune occasioni, quando, cioè, l’anziana si sarebbe venuta a trovare da sola in casa, perché di norma, avrebbe avuto una stanza tutta per sé.

Dichiarazioni palesemente contraddittorie, secondo la polizia, rispetto all’atteggiamento tenuto dal 44enne al momento dell’ingresso in casa, quando si catapultò verso la porta per aprirla, in modo da non far apparire la vicenda alla stregua di una segregazione. Il caso dell’anziana è stato poi seguito dall’avvocato Maria Grazia Iovino. 

I funerali della donna, intanto, sono fissati per il primo pomeriggio di domani, alle 14,45, presso la Chiesa madre di San Donato di Lecce.

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