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Lotta al caporalato agricolo, il protocollo come “strumento di trasparenza”

L’accordo in Prefettura ottiene il placet dei sindacati. Mauro Fioretti (Uila Uil) sostiene: “Aiuta il collocamento di braccianti italiani e stranieri”. Gagliardi (Flai Cgil): “Impropri i pareri di quanti parlano di arretramento”

LECCE – Uno strumento “trasparente” ed utile al “collocamento di braccianti italiani e stranieri”: è questo il parere espresso da Mauro Fioretti, segretario provinciale di Uila Uil, in merito alla presentazione e alla firma, venerdì scorso, in Prefettura di un protocollo sulle operazioni di raccolta delle produzioni ortofrutticole, siglato dai sindacati Uila Uil, Fai Cisl e Flai Cgil, insieme con le associazioni di categoria Cia, Coldiretti e Confagricoltura.

Scopo del protocollo è quello di creare una lista di aziende, che si dichiarano disponibili ad assumere i lavoratori inseriti all’interno delle liste di prenotazione, già istituite con apposita legge regionale, e fare in modo, quindi, che ci sia una sorta di “rintracciabilità” del rapporto di lavoro e soprattutto un incontro diretto tra domanda e offerta, senza dannose ed illegali intermediazioni che portano al deprecabile fenomeno del caporalato agricolo, come testimoniano i recenti fatti di Boncuri.

“Parliamo di uno strumento trasparente per il collocamento di braccianti italiani o stranieri – spiega Fioretti – che è anche il primo esperimento in tal senso a livello nazionale, quindi sicuramente perfettibile e suscettibile di modifiche. L’intento è in sostanza quello di fare in modo che le aziende ci rappresentino le loro disponibilità in termini di manodopera, in modo da creare un punto d’incontro diretto tra domanda e offerta”.

“Abbiamo inoltre avanzato – sottolinea - una richiesta precisa, ossia che un istituto bancario possa costituire una sorta di cassa privilegiata monitorata per il pagamento delle prestazioni lavorative. In tal modo, infatti, si avrà la certezza che i soldi vengano effettivamente incassati da chi svolge la prestazione lavorativa”.

“Noi – aggiunge insieme a Salvatore Giannetto, segretario provinciale Uil  – come parti sociali abbiamo fatto la nostra parte e ci abbiamo messo la faccia. Su questo dobbiamo lavorare per portare avanti un’azione di lotta e di contrasto ai fenomeni di sfruttamento, soprattutto ora che è già cominciata una nuova stagione di raccolta nei nostri campi. Adesso ognuno svolga il proprio ruolo”. I sindacalisti sottolineano, infine, la reazione molto positiva del Prefetto, di cui hanno apprezzato “pragmatismo” e “decisione” nell’affrontare il problema.

Sul protocollo, interviene anche Antonio Gagliardi, segretario generale Flai-Cgil, che rimarca il forte disappunto per la decisione di non aprire le porte di Masseria Boncuri ai lavoratori stranieri che ogni anno vengono a lavorare nelle campagne di Nardò, peraltro giustificata con “ragioni aleatorie”. Le dinamiche del mercato del lavoro sulla raccolta stagionale di angurie e pomodori sono valutate dalle organizzazioni datoriali e sindacali, fino a “convenire sulla necessità di dotarsi, senza abdicare al proprio ruolo, di uno strumento sperimentale, limitato al tempo necessario per la raccolta dei prodotti nell’area di Nardò, anche con l’auspicio che le aziende agricole possano in questo modo proseguire nel percorso di emersione dal lavoro nero”.

Nasce da qui la strutturazione di un protocollo d’intesa, sottoscritto a fine maggio tra associazioni datoriali e sindacali, che si basa sui contratti nazionali e provinciali e, naturalmente, sulle leggi vigenti: “Uno strumento di supporto – chiarisce Gagliardi - a quello contrattuale che dà la possibilità di mettere in relazione diretta le aziende agricole e i lavoratori, svuotando il ruolo illecito del ‘caporale’. Uno strumento che facilita l’incontro tra la reale domanda e l’offerta di lavoro attraverso l’utilizzo delle ‘liste di prenotazione’ approntate in luoghi istituzionali, come i centri per l’impiego, di cui c’è una sede appositamente creata proprio a Nardò, grazie a una sperimentazione fortemente sostenuta da Cgil e Flai Cgil che hanno attivato i tavoli istituzionali e di confronto per raggiungere tale obiettivo”.

“A maggior ragione – precisa - lascia con l’amaro in bocca dover constatare che le istituzioni locali non abbiano considerato un’opportunità questo protocollo, in virtù del fatto che accoglienza, informazione e indirizzo sono alla base di esso per renderlo pienamente esigibile. Infatti, concentrare la presenza dei lavoratori in un solo luogo di accoglienza, come Masseria Boncuri, avrebbe consentito una rapida diffusione tra i lavoratori degli aspetti virtuosi contenuti nel protocollo: legalità nel lavoro e nell’ingaggio”.

“A coloro che (per la verità un numero molto esiguo di persone) hanno definito – prosegue -, senza evidentemente conoscere, il protocollo d’intesa per l’impiego della manodopera nella produzione di prodotti ortofrutticoli per l’area nord-ovest della provincia di Lecce, come ‘un fortissimo arretramento’ sulle conquiste salariali, è opportuno spiegare che esso non prevede la paga a cottimo, sebbene tale istituto contrattuale sia ampiamente previsto dal Ccnl applicato nel settore agricolo e dal contratto provinciale di categoria. Difatti, già nel lontano 1984 il contratto provinciale di lavoro di questa provincia prevede la possibilità di regolamentare la paga a cottimo da stabilirsi direttamente tra azienda e singolo lavoratore”.

“Le organizzazioni datoriali e sindacali – puntualizza Gagliardi - hanno voluto, viceversa, mettere dei vincoli all’applicazione di tale istituto contrattuale, rendendo esigibile il salario di base e annullando qualunque ‘pattuizione’ tra singoli soggetti. Smentiamo, dunque, senza alcuna difficoltà, quanto dichiarato nei giorni scorsi da singolari depositari della conoscenza e delle soluzioni. A quanto pare, essi hanno in mano la soluzione per risolvere i problemi legati alle complesse dinamiche lavorative e sociali dei lavoratori migranti in agricoltura”.

Gagliardi ricorda come la storia ultracentenaria della Cgil, che ha visto grande protagonista Peppino Di Vittorio, insegni che l’emancipazione dei lavoratori e dei loro diritti passa attraverso le rivendicazioni collettive e la contrattazione costituzionalmente riconosciuta ed affidata alle organizzazioni sindacali: “Il sindacato che muove le proprie azioni, se condivise dai lavoratori, li organizza, senza presunzione – chiarisce -, e per essi ne rivendica diritti e tutele. L’autotutela e l’autorganizzazione sono processi palesemente vuoti di contenuti e privi di potere contrattuale. Come dire: ‘A ciascuno il proprio ruolo’; quando si sconfina, si corre sempre il rischio di fare una magra figura. E, purtroppo, non è la prima volta, per qualcuno, che questo accade”.

 

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