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Martedì, 30 Aprile 2024
Salute

Conservazione degli ovociti, continua la querelle tra Asl e il legale della paziente

Un’ulteriore puntualizzazione da parte del legale della donna di Nardò, affetta da endometriosi, che è stata sottoposta a un intervento a Bologna per la preservazione della fertilità

LECCE – Prosegue la querelle tra la Asl di Lecce e il legale di una donna di Nardò che, per l’intervento di preservazione della ovociti e dunque della propria fertilità, ha deciso di rivolgersi all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. L’avvocato Stefano Martina del Foro del capoluogo salentino ha nuovamente risposto all’Azienda sanitaria locale, puntualizzando alcuni aspetti della delicata vicenda.

Dalla Direzione generale di via Miglietta, nei giorni scorsi, erano giunte le spiegazioni a una prima rimostranza inviata dal legale della donna. La Asl aveva infatti specificato come la patologia della donna non rientrerebbe nei codici delle malattie per le quali sono previste le esenzioni, destinate invece solo a problemi di natura oncologica. “La mia assistita, a Bologna, ha già effettuato tutti gli esami diagnostici e visite mediche necessarie propedeutiche per l’intervento relativo alla preservazione della fertilità. In più avrebbe presso il predetto ospedale, oltre all’intervento a basso costo, solo 700 euro, tutti i costosissimi medicinali in forma gratuita e una continuità terapeutica medica avendo effettuato l’intervento per un endometriosi di livello alto”, scrive il legale.

“A Lecce dovrebbe ricominciare dalla prima visita con costi molto più alti e medicinali a pagamento, ma soprattutto con una grossissima perdita di tempo che purtroppo andrà a incidere negativamente sulla  preservazione stessa. Gli specialisti incaricati a lecce non hanno fatto altro che contestare tutta la documentazione medica prodotta senza neppure appurare le condizione fisiche e di salute, con una appropriata visita medica specialistica, della stessa, e comunicandole che nel mentre non era possibile effettuare la preservazione della fertilità poiché gli incubatori ricevuti erano arrivati con schede elettroniche difettose e quindi inutilizzabili. Nessuna comunicazione è pervenuta al sottoscritto difensore in merito alle possibilità alternative paventate ma unicamente il diniego del 7 novembre con ulteriore perdita di tempo. Tempo che l’orologio biologico di una donna con patologie gravi tali da inficiare definitivamente la possibilità di una futura maternità non ha. D’altronde dalla scarna e sterile comunicazione della Asl, tra l’altro priva di sottoscrizione (nessuno si prende la responsabilità?) si evince che la paziente, è unicamente un numero tra i tanti e che la sanità ancora una volta ha fallito”, conclude l’avvocato Martina.

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