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Cronaca Copertino

L'ex carabiniere assassinato perché lo ritenevano causa della separazione della figlia

Questo il movente che avrebbe spinto Michele Aportone, 70enne di San Donaci, a fare fuoco su Silvano Nestola, ucciso a bruciapelo nel maggio scorso davanti agli occhi del figlio 11enne. L'uomo e la moglie nutrivano un profondo astio e osteggiavano la relazione sentimentale

LECCE – Aveva solo 45 anni, quando è stato assassinato a bruciapelo. Motivi di salute l’avevano obbligato a lasciare l’Arma da otto mesi. Un lasso di tempo troppo breve perché il maresciallo Silvano Nestola di Copertino perdesse il fiuto dell’investigatore. E il tenente Giuseppe Boccia del Nucleo investigativo dei carabinieri di Lecce, l’ha spiegato bene, nel corso di una conferenza stampa convocata per illustrare i particolari che hanno condotto sulle orme dell’uomo accusato di aver materialmente fatto fuoco la sera del 3 maggio scorso: Nestola, militare dotato di acume professionale, aveva subodorato la possibilità di correre rischi concreti, continuando a frequentare la figlia di Michele Aportone, 70enne di San Donaci. Proprio per questo, era stato sul punto di interrompere la relazione. Non riuscirvi, si è rivelata la sua condanna a morte.

Ci sono voluti cinque mesi di indagini serrate, manca ancora l’arma del delitto, un fucile da caccia, che tuttora i carabinieri stanno cercando, ma gli elementi per arrestare Aportone, 70enne di San Donaci, ci sono tutti, se è vero che il giudice per le indagini preliminari Sergio Tosi ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sottolineando, in un passaggio, l’esistenza di un “compendio investigativo grave”.

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Segno che i carabinieri hanno lavorato bene, sia nel raccogliere testimonianze con le indagini di tipo tradizionale, sia ripercorrendo tutto il tragitto che Aportone avrebbe compiuto quella sera, grazie ad alcune videocamere di sorveglianza private, sia attraverso le intercettazioni, durante le quali, per la verità, pur non vacillando mai, in un caso in particolare il 70enne si sarebbe tradito. “Scientificatemi ‘stu cazzu”, avrebbe sbottato, un giorno, all’improvviso. Sarebbe accaduto dopo aver fatto a pezzi, letteralmente, uno scooter nella sua disponibilità, per poi bruciarne le singole parti in un suo terreno. Lo scooter, c’è da sottolineare, uno dei due veicoli che sarebbero stati impiegati per mettere a segno l’omicidio, secondo una precisa pianificazione. E il motivo del rogo, evidente: tentare di far sparire tracce rilevanti.

Ma se l’arma usata non è stata mai trovata, per inchiodare Aportone, appassionato di caccia con titoli in regola, fondamentali sono state, fra le altre cose, minuscole tracce di polvere da sparo che i carabinieri del Ris di Roma hanno trovato sugli indumenti sequestrati. Si tratta di abiti ritrovati, durante le indagini, in una sua autovettura.

La conferenza stampa di questa mattina

Alla conferenza stampa convocata questa mattina presso la caserma di Santa Rosa, a Lecce, per raccontare dettagli e movente del delitto che ha sconvolto non solo Copertino, dove Nestola era molto conosciuto e stimato, ma l’intero Salento, erano presenti il colonnello Paolo Dembech, comandante provinciale dell’Arma, il tenente colonnello Pasquale Montemurro, a capo del Reparto operativo, il maggiore Francesco Mandia, che guida il Nucleo investigativo, il già citato tenente Giuseppe Boccia, fra coloro che hanno lavorato sul campo nella missione di scoprire il colpevole, e il colonnello Gabriele Ventura, del Ros di Lecce.

Il Ros – Raggruppamento operativo speciale – ha partecipato fin da subito nella fase investigativa, non solo per escludere che l’omicidio fosse legato ad ambienti della criminalità organizzata, magari per vicende legate a vecchie indagini nel corso degli anni in servizio del 45enne, ma anche perché esiste una precisa articolazione, la Sezione anticrimine, che si occupa di fatti particolarmente efferati. La stessa che ha partecipato alle indagini sul duplice delitto di via Montello.

L’omicidio

L’omicidio è storia recente, ancora fresca nella mente di chi segue le cronache. Era la sera del 3 maggio scorso quando Nestola era rimasto vittima di un vero e proprio agguato. Quattro colpi di fucile esplosi da un uomo appostato nell’ombra nei pressi di casa di sua sorella, in località Tarantini, zona di campagna nell’agro copertinese, sulla via per San Pietro in Lama. In quei giorni vigeva ancora la ferrea regola del coprifuoco, imposta per la pandemia, di non farsi trovare fuori di casa dopo le 22. E Nestola, dopo aver cenato con il figlio 11enne dalla sorella, proprio una decina di minuti prima delle 22 stava per fare rientro a Copertino. 

Ma, superata la soglia del giardino, era stato colpito a morte. I pallettoni, esplosi da un uomo che aveva agito avvicinandosi sempre di più all’obiettivo, avevano trafitto anche il finestrino della Toyota Yaris della vittima. Il figlio, che Nestola era riuscito a far allontanare in tempo, con l’improvviso ordine di rimanere indietro (il maresciallo doveva aver sentito rumori sospetti), resta oggi l’unico testimone oculare del terribile fatto di sangue. La sorella di Nestola, infatti, era dentro casa, dopo aver accompagnato i parenti alla porta. E agli investigatori arrivati poco dopo sul posto, il ragazzo aveva descritto l’assassino come “una persona nera che stava accovacciata sotto al muretto sulla destra”.

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Raccogliere tutte le prove e trovare una chiave di lettura in grado di definire lo scenario dietro lo sconcertante episodio, ha comportato il giusto tempo. E quella chiave di lettura, i carabinieri in campo, determinati a fare giustizia per il collega ucciso, l’hanno trovata scavando nella vita privata di Nestola. Scoprendo come Michele Aportone e la moglie Rossella Manieri – che è indagata in concorso, sebbene a piede libero -, fossero animati, da un lato, da un forte astio verso il maresciallo in quiescenza e, dall’altro, da una forma ossessiva di controllo nei confronti della figlia Elisabetta. Significativo il fatto, scoperto durante le indagini, che avessero installato un Gps nella sua autovettura per seguirne gli spostamenti (qui l'approfondimento sulla vicenda specifica).  

Nestola era separato dalla moglie, Elisabetta Aportone dal marito. E i due, dall’estate precedente, avevano intrapreso una relazione sentimentale. Ma, stando a quanto a raccolto dai militari, insanabile era l’odio maturato dai genitori della giovane donna verso Nestola, persino ritenuto la causa della separazione della figlia dal marito. È dunque in un risentimento cieco covato soprattutto da Rossella Manieri, secondo gli investigatori, il movente dell’omicidio. E Michele Aportone, a un certo punto, sarebbe stato spinto ad agire per risolvere la faccenda una volta per tutte, forse aizzato proprio dalla moglie.  

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I carabinieri, dopo aver escluso piste riconducibili alla criminalità organizzata e al contesto professionale di Nestola, che non aveva avuto in carriera una tale sovraesposizione da potersi considerare come il nemico giurato di qualche grosso pregiudicato, si sono concentrati quindi sempre più sulla vita privata di un uomo riconosciuto come molto riservato. E varie informazioni raccolte hanno permesso di chiarire che la relazione era talmente osteggiata dai genitori di Elisabetta Aportone, al punto che in più occasioni la madre Rossella Manieri avrebbe affrontato Silvano Nestola, persino per strada e in compagnia della stessa ragazza, svilendone l’immagine e arrivando anche ad attacchi verbali diretti.

La decisione di Elisabetta di separarsi di fatto dal marito e intraprendere una nuova relazione aveva, poi, compromesso del tutto i rapporti con la madre, tanto da ridursi, nel marzo scorso, ai minimi termini. Sarebbe stata la stessa figlia a rifiutare ogni contatto con la madre, pur vivendo nella stessa abitazione. Tutto questo, deve essere apparso insostenibile per i genitori.

La pianificazione

Quanto scoperto strada facendo dai carabinieri, ha permesso di svelare una pianificazione certosina da parte di Aportone. Fra l’altro, Nestola sarebbe stato pedinato in varie occasioni, riuscendo così a ricostruire le abitudini di vita. Ecco perché, in qualche modo, il 70enne sarebbe riuscito a sapere che la sera del 3 maggio Nestola avrebbe cenato presso la sorella, potendo appostarsi per tempo, per fare fuoco e poi scappare.  

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Le immagini di vari sistemi di videosorveglianza, compreso quello installato in una zona non distante dall’area sosta camper “Santa Chiara” (di cui Michele Aportone è titolare e in cui si trasferisce l’estate) nella zona di Boncore, frazione neretina a due passi da Porto Cesareo, hanno consentito di ricostruire l’intero percorso. Il 70enne, alle 19,30 circa del giorno dell’omicidio, avrebbe caricato uno scooter a bordo di un suo Fiat Ducato, arrivando a Leverano. Qui, avrebbe parcheggiato il furgone nei pressi di una carrozzeria, per proseguire in scooter verso località Tarantini, appostarsi, sparare, e poi tornare indietro, caricare nuovamente il ciclomotore nel furgone e fare rientro nell’area camper alle 22,30 circa.

Video | Il racconto degli investigatori

Il ciclomotore, come detto, è andato poi distrutto. Smembrato e le singole parti bruciate proprio nei terreni intorno all’area camper. Ulteriori sviluppi sono arrivati poi dagli esami scientifici eseguiti dal Ris che hanno accertato la presenza di minuscole particelle di polvere da sparo sugli indumenti del 70enne, riconducibili ai colpi esplosi da un fucile da caccia, arma, però, ancora oggetto di ricerca.

5aa403ec-f82a-463f-8da6-4a942bc65c14-2Aportone, fino a oggi, ha sempre negato alcun coinvolgimento. Avrebbe persino riferito di non essere mai uscito dall’area camper, quella sera. Ma le immagini dei video in mano ai carabinieri dicono tutt’altro. Il lockdown di quel periodo, poi, ha senza dubbio fornito un aiuto e i carabinieri stessi l’hanno ammesso. Non c’erano molti veicoli in giro da ricercare, il che ha permesso di concentrarsi subito su Ducato e scooter. L’esame delle celle di geolocalizzazione sui cellulari sequestrati, le tracce di polvere da sparo e le intercettazioni hanno poi permesso di chiudere il cerchio.

Aportone ora si trova in carcere, con l’accusa di omicidio premeditato da futili motivi e uso di arma da fuoco. Le indagini dei carabinieri sono state coordinate dai pubblici ministeri Alberto Santacatterina e Paola Guglielmi.

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